Un patrimonio che vale circa dieci milioni di euro con la punta di diamante che risponde al nome di Geotrans, azienda leader nel settore del trasporto su gomma, visitata l’anno scorso da Matteo Salvini. Sono alcuni dettagli di un decreto di confisca che in queste ore viene eseguito dagli agenti della Direzione investigativa antimafia di Catania.
Nel mirino Vincenzo Ercolano, imprenditore, ex presidente della sezione etnea della Federazione italiana autotrasportatori ma anche condannato in primo grado a 15 anni per mafia. Accusato dai magistrati della procura di piazza Giovanni Verga di avere preso in eredità il ruolo del padre, il defunto capomafia Pippo Ercolano, per molto tempo braccio destro di Nitto Santapaola, e del fratello Aldo, reggente della famiglia di Cosa nostra e mandante dell’omicidio del giornalista Pippo Fava.
Il provvedimento della Dia, che riguarda anche la Geotrans Logistica Frost e la R.C.L. Società Cooperativa Arl, arriva dopo una lunga trafila davanti il tribunale Misure di prevenzione. La confisca è diventata irrevocabile dopo il pronunciamento della corte di Cassazione. Lo Stato in realtà amministra l’azienda già dal 2014. L’anno successivo sui camion arrivò pure il logo di Addiopizzo con l’adesione alla lista Pizzofree.
Rimane invece ancora aperto il capitolo della giustizia penale. Dopo la condanna a 15 anni in primo grado e la contestuale confisca non definitiva, per Ercolano a settembre comincerà il processo d’appello. Insieme a lui alla sbarra è finita la sorella Palma Cosima Ercolano (condannata a tre anni), titolare della E.T.R., costituita nel 2001 per l’autotrasporto conto terzi. Questa società, dopo il primo grado delle misure di prevenzione, è stata restituita alla donna con rigetto di richiesta di confisca da parte dei giudici e la procura che non ha mai fatto ricorso in appello. A confiscarla, in modo ancora non definitivo, invece sono stati i togati del processo penale.
Ercolano, attualmente detenuto, nel 2010 era stato coinvolto nell’operazione Sud Pontino. Inchiesta della procura di Napoli che svelò il patto tra mafia e camorra per la gestione monopolistica del trasporto della frutta nei principali mercati del centro-sud. Un federalismo criminale in cui, secondo l’ipotesi dell’accusa, sarebbero stati coinvolti Gaetano Riina, fratello del capo dei capi Totò, e Pippo e Vincenzo Ercolano. Quest’ultimo, però, oltre ad essere stato assolto nel processo, uscì da galera dopo poco tempo grazie a un provvedimento del tribunale del Riesame. E gli stessi giudici annullarono il sequestro di Geotrans.
Discorso diverso per il processo Caronte. Dal nome dell’operazione scattata nel 2013, un anno dopo la morte di Pippo Ercolano. Da allora il figlio del capomafia si trova in carcere, arrivando cinque anni dopo al giudizio di primo grado con il quale i giudici lo hanno condannato a 15 anni. Considerato di uno «spessore criminale elevatissimo», Ercolano avrebbe obbligato clienti e fornitori che volevano operare nel mercato del trasporto su gomma, a rivolgersi alle sue imprese, impedendo alla concorrenza di operare in maniera libera.
Il nome dell’imprenditore viene inserito anche come socio occulto della Co.P.P. Srl, azienda, che gestisce una cava, formalmente intestata alla sorella Cosima e al cognato Concetto Di Stefano. La Co.P.P. Srl si è occupata delle forniture del materiale per la costruzione del centro commerciale Centro Sicilia e del mercato agroalimentare di Catania. Oltre a quelle per il centro commerciale Porte di Catania e del Sicily Outlet Village di Agira, in provincia di Enna. Infine i subappalti per l’autostrade Catania-Siracusa e Caltanissetta-Agrigento.
La storia giudiziaria di Ercolano Jr è stata anche al centro di un clamoroso caso di rimborso per ingiusta detenzione: in attesa della fine del processo Orione 5, in cui venne assolto e la Geotrans dissequestrata, Ercolano rimase però due anni dietro le sbarre. E alla fine lo Stato gli versò circa 160mila euro.
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