Emiliano Abramo si sente alla testa di un «cantiere aperto» in tutti i sensi. Fatta eccezione per il sindaco Enzo Bianco – che ad oggi ha confermato di volersi ripresentare alle prossime Amministrative – il 38enne capo della comunità di Sant’Egidio è l’unico candidato a Catania già in piena campagna elettorale. Venendo ospite per una intervista in redazione, ci invita all’apertura del suo quartier generale – l’ex cinema Reale di via Crispi – il prossimo giovedì. E disegna la sua idea di «mano tesa» a tutti coloro che vogliono starci – a fianco del movimento Ѐ Catania, la sua lista «assolutamente civica» – iniziando anche a declinarla in relazione ai possibili avversari. Non solo l’uscente, ma molto probabilmente anche il leader della Forza Italia catanese, l’eurodeputato Salvo Pogliese, su cui pare molto probabile il risaldarsi dell’intero centrodestra sul modello di Nello Musumeci.
I partiti a lui guardano interessati, specie nel centrosinistra. Lo scenario del Bianco quinquies non scalda i cuori. E se l’ex governatore Rosario Crocetta si sarebbe già portato avanti, chiudendo l’accordo con Abramo, anche nella sinistra della Cgil etnea c’è chi è assai intrigato dalla possibile convergenza sul candidato civico.
Il vostro è un progetto civico, però perché le maggiori attenzioni al momento arrivano da sinistra?
«Bisognerebbe chiederlo a destra o sinistra, poi comunque credo che non sia esattamente così. C’è un mondo moderato non inquadrato nei partiti, penso alla destra cattolica, che trova interessante la proposta. Stiamo interpretando anche la loro sensibilità. A quanto pare una certa destra ragiona per trovare un suo candidato, però sono molto soddisfatto perché molti moderati vedono in noi una possibilità».
A questo suo tavolo civico, potrebbe sedersi pure il centrodestra?
«Siamo assolutamente civici, penso che sempre di più – le Regionali lo hanno dimostrato – l’asse destra-sinistra è largamente superato da un’altra distinzione, quella fra presentabili e impresentabili. Il primo nodo da sciogliere, secondo me, è capire chi sono gli impresentabili».
Userà questo criterio anche per le sue liste? Farete come i grillini?
«Un criterio è sicuramente il casellario giudiziario. Non c’è bisogno di arrivare ai 5 stelle, in certi casi sono macroscopici, basta leggere i giornali. Non voglio scimmiottare i grillini e non li boccio come metodo. La mia mano è tesa non a destra, ma verso tutti coloro che vogliono sposare un programma e dei valori senza preclusioni. C’è un’attenzione della sinistra che è innegabile, ma c’è anche dalla destra fuori dai partiti».
A questo punto Salvo Pogliese va considerato un impresentabile, viste le sue pendenze giudiziarie?
«Ѐ una vicenda di Pogliese, che conosco come persona capace. Dovesse essere lui il candidato penso che si ponga un problema di responsabilità che sono convinto il centrodestra affronterà. Ovvero presentare un candidato sindaco che effettivamente non metta la città, a luglio (quando dovrebbe esserci la sentenza sulle spese pazze all’Ars quando Pogliese era deputato del Pdl, ndr), davanti all’imbarazzo dell’applicazione della legge Severino sull’interdizione dai pubblici uffici. Non c’entra essere presentabile o impresentabile, auspico che tutti alle prossime amministrative siano responsabili, a partire da Pogliese e dal centrodestra in cui ho fiducia. Non amo parlar male della gente. Però non possiamo pensare che qualunque cosa succeda vada bene. Non è così, Catania ha bisogno di responsabilità».
Catania secondo lei è pronta? In fondo la città ha votato per recuperare esperienze del passato, Bianco come a Palermo Leoluca Orlando. I vecchi sindaci sono tornati.
«Credo di sì, convintamente. Catania ha scelto Bianco cinque anni fa, cioè un altro mondo. Era un’altra città, un’altra Sicilia, un’altra Europa. C’erano prospettive che sono state disattese. Secondo me la valutazione del quinquennio non è così positiva da poter immaginare un altro giro di Bianco sindaco. Lui è legittimato a presentare la sua visione della città, del tutto diversa dalla mia».
Facendo un po’ di storia, non temete di replicare l’avventura di Maurizio Caserta, chiusa con il 7 per cento alle Comunali del 2013. Perché a un terzo polo dovrebbe andare meglio stavolta?
«Il nostro è tutt’altro progetto, non è né una replica né un proseguimento. Non c’è continuità, non c’ero in quella stagione. Caserta presentò una lista che aveva quel valore, registrando un buon risultato che però diceva anche che quell’esperienza politica non era ritenuta idonea a guidare la città. Io non voglio fare una lista fatta di persone con cui sono abituato a chiacchierare. Voglio fare anche quello, ma poi piazzo la nostra proposta al centro della città e chiedo a tutte le parti sane – buona politica, buona impresa, terzo settore – di aiutarmi a costruire i dettagli del programma».
Con Bianco com’è andata? Che le avesse proposto un assessorato non è un mistero.
«Il sindaco ha più volte provato a coinvolgermi in amministrazione, ha avuto attenzione per la mia esperienza nel campo del sociale. Sono stato io a non ritenere opportuno sposare quel progetto».
Lei ha accettato però di farsi designare assessore regionale dal centrosinistra di Fabrizio Micari. Che differenza c’era?
«Parecchia. Lui era un candidato della società civile, e mi ha chiesto disponibilità su un progetto di responsabilità dove mantenevo indipendenza. Era una storia tutta da scrivere, quella di Bianco è largamente scritta. Non credo che sulle politiche sociali siano stati fatte grandi cose o che avrei avuto carte da giocare per poter incidere per come io ritengo giusto».
L’errore più grande del sindaco in questi cinque anni?
«Il non ascolto della città. Troppa vita di palazzo forse ha determinato scelte poco vicine alla città. Noto un forte scollamento tra i catanesi e il palazzo. Lui è andato a Librino quando è venuto Mattarella, erano al quartiere ma senza il quartiere, cioè senza la gente di Librino. Un conto è inaugurare strade che portano a ospedali ancora chiusi, un conto andare nei palazzi dove la gente vive e ascoltarla. Trovo questa seconda cosa molto più utile».
Capitolo bilancio del Comune. C’è stata polemica con gli ex amministratori sull’opportunità di allungare la durata del Piano di riequilibrio. Quale sarà la prima cosa che farà sui conti?
«La ricognizione dei conti dell’ente. Non la do per scontata, perché non è stata fatta. Vogliamo capire in che modo è stato fatto il bilancio. Si sa che il 17 per cento dei fondi, la seconda voce di spesa del Comune, sono stati dedicati alla nettezza urbana. A questo non corrisponde un adeguato sistema di smaltimento. Siamo l’ultimo Comune della provincia per differenziata, tra le maglie nere d’Italia. Ci vedo spreco e assenza di buona amministrazione. Anche per questo penso che spalmare il debito sia stato gravemente sbagliato. Aumentano gli interessi e c’è un problema etico, perché il debito viene messo sulle spalle di persone che non ci voteranno e che ancora devono nascere. Eppure abbiamo deciso per loro. Questo è responsabile? Credo di no. Vedremo cosa deciderà il Consiglio».
In aula la situazione è disastrosa. Oltre l’80 per cento delle sedute del 2017 si è chiuso senza votare nulla. Cosa chiede alle forze politiche consiliari?
«Ritrovare forte senso di responsabilità in questi ultimi mesi. Se non c’è stato dialogo, visto che le presenze del sindaco Bianco in Consiglio si contano su poche dita, questo non deve farli sentire delegittimati».
A Roma, dopo una raccolta firme, si farà un referendum consultivo sulla liberalizzazione del trasporto pubblico. Le crisi di Atac e della catanese Amt sembrano somigliarsi moltissimo. Se domani le chiedessero una firma per un analogo voto liberalizzatore, cosa farebbe?
«Ѐ una delle possibilità. Sulle partecipate è vero che c’è crisi, ma anche che non abbiamo una fotografia chiara della realtà. Cosa che invece Roma ha. Noi non siamo a tale punto. Direi sì o no, ma su quali basi? Non è da escludere una valutazione positiva su referendum e liberalizzazione, ma penso che sia nostro diritto avere prima di tutto gli elementi per poter poi scegliere. Questi elementi però ci sono stati negati».
Giochino della torre. Chi va giù, Stancanelli o Bianco?
«Bianco. Nell’amministrazione Stancanelli c’era maggior dialogo con la città, con il Consiglio, riconosco a Stancanelli di essersi parecchio applicato nella lettura delle carte e nel raccontarle all’esterno. Non sono stato suo elettore, ma quella è parte della vecchia amministrazione che penso si debba recuperare».
Tiene Musumeci o Micciché?
«Musumeci. Gli va riconosciuta l’autorevolezza premiata alle ultime elezioni. E poi è catanese, non mi dispiace».
Nomi apparsi buoni, al netto delle sfumature, per la sindacatura. Va giù Salvo Pogliese o Valeria Sudano?
«Pogliese, sperando che non si faccia male. Non è una valutazione sulla persona, ma perché effettivamente credo che le incertezze della sua candidatura esporrebbero la città, e non possiamo permettercelo. Mi auguro che destra e sinistra tengano sempre presente il bene comune. Basta con i salti mortali».
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