Alle prossime elezioni il mondo musulmano catanese potrebbe rompere gli indugi e misurarsi sulla scena politica cittadina. La sfida, non una novità in altre parti d'Italia, potrebbe toccare al numero due della moschea di piazza Cutelli. E il suo appoggio a Emiliano Abramo, amico personale dell'imam Kheit Abdelhafid, pare tutt'altro che scontato
Comunali, comunità islamica al test d’integrazione È il 49enne Ismail Bouchnafa il nome da candidare
Sono almeno settemila i cittadini di fede musulmana, in larghissima parte stranieri, che potranno esercitare il diritto al voto alle prossime elezioni comunali a Catania. Che siano elettori perché di nazionalità italiana ormai acquisita, o per semplice residenza, poco importa: il peso di tale stima è ben chiaro nella testa dei vertici della comunità islamica etnea. Un intero pezzo di città, così, sogna adesso la rincorsa a una ciliegina d’eccezione sulla torta del proprio percorso d’integrazione, ovvero il debutto sulla scena politica catanese. Dalle parti della moschea della Misericordia di piazza Cutelli, la più grande del Mezzogiorno e aperta ormai da sei anni, si accarezza l’idea da tempo e tutto lascia intendere che questa volta sia quella buona. Tra le liste per il consiglio comunale potrebbe spuntare un candidato di diretta espressione dei musulmani della città dell’elefante, da lungo tempo guidati spiritualmente dall’imam Kheit Abdelhafid. Non sarà però lui a spendersi in prima persona: «Non è di mio interesse, ho già altri ruoli», chiarisce a MeridioNews il presidente della Comunità islamica di Sicilia. Ci pensa su, invece, colui che a tutti gli effetti è il numero due della moschea di Catania. Cioè Ismail Bouchnafa, direttore del centro di preghiera nel cuore della Civita e vicepresidente della Cis.
Sulle spalle di questo commerciante di via Vittorio Emanuele, nato in Marocco, potrebbe ricadere la missione che, in altre parti del Paese, non è una novità già da un bel po’. «Sarebbe anche un modo per vedere quanto siamo realmente integrati nella città», dice a MeridioNews il 49enne, in Italia da quando aveva vent’anni. Il nome di Bouchnafa è in cima alla lista. Lui ci sta ancora riflettendo su. «Non vorrei essere solo il candidato dei nuovi italiani, se fossi eletto rappresenterei tutti e non solo i musulmani». Quest’ultimo, comunque, sarebbe già di per sé un bel compito. Potrebbe infatti entrare in gioco, ragionano gli uomini della moschea di Catania, un vero e proprio fattore motivazionale capace di portare alle urne una robusta fetta di cittadinanza che, altrimenti, non ci andrebbe. «La cultura del voto è molto bassa fra gli stranieri della mia generazione, delusi dai governi dei nostri Paesi d’origine – spiega il religioso – fra i giovani invece non è così». A scalpitare c’è soprattutto la seconda generazione di immigrati, ventenni o poco più, pienamente catanesi, che al diritto al voto danno ben diversa considerazione rispetto ai loro padri. In tanti non vedono l’ora di tracciare una x sulla scheda, a partire da quelli che partecipano alle attività della moschea. «Per la preghiera del venerdì vengono da noi in media circa mille persone, in maggioranza giovani». Numeri di tutto rispetto, non replicabili in gran parte degli altri luoghi di culto catanesi.
Ma con chi vorrebbe schierarsi il primo papabile consigliere catanese di fede islamica? Il fortissimo legame tra Kheit Abdelhafid e il candidato sindaco Emiliano Abramo farebbe pensare a una naturale convergenza di Bouchnafa sul progetto civico che guarda a sinistra del capo della comunità di Sant’Egidio. Pure su questa ipotesi, in realtà, si sta ancora temporeggiando. Anche perché, tutto sommato, al numero due della moschea di Catania il sindaco Enzo Bianco non dispiace affatto. «Di cose buone per la città ne ha fatte, lui e Abramo hanno pure lavorato assieme, in fondo speravo che tutti e due andassero uniti», ammette sorridendo un po’ il quasi candidato. Che infine si spinge a parlare con il cuore di un elettore progressista: «Ho sempre votato per il Pd, mi sento di sinistra, temo che anche a Catania si stia facendo l’errore nazionale: andare divisi e far vincere gli altri».