Elezioni Catania, la visione di Enrico Trantino: «Neanche un sindaco-supereroe può farcela senza l’aiuto dei cittadini»

Affabile ma deciso. Anche in questa campagna elettorale per le elezioni Comunali di Catania, mantiene lo stesso stile che aveva da assessore Enrico Trantino, tra i candidati a sindaco per il capoluogo etneo. Avvocato di professione e maratoneta per passione, dopo l’esperienza nella travagliata giunta di Salvo Pogliese, è stato scelto per rappresentare il centro-destra con sette liste. Una prima prova di polso e fiato, insomma, in una coalizione non troppo affiatata e litigarella proprio sulla scelta del nome. Si chiudono così con Trantino – e con l’eccezione di Vincenzo Drago che non ha risposto al nostro invito – le interviste di MeridioNews ai possibili nuovi primi cittadini etnei.
– Guarda o leggi le interviste agli altri candidati

Abbiamo chiesto a ogni candidato di incontrarci nel proprio posto preferito, o più rappresentativo, di Catania. Lei ha scelto San Berillo, perché?
«Perché potrebbe essere la nostra Brera, è un luogo che trasuda emozioni, sensazioni positive ed energia. Tra l’altro dove ci troviamo adesso, nel San Berillo District, c’è anche un esempio di rigenerazione dal basso, che crea un effetto domino e incoraggia gli investimenti. Per questo abbiamo destinato circa 24 milioni di euro tra San Berillo e corso Sicilia, con opere che dovrebbero andare in gara a brevissimo, nel giro di qualche mese, perché da realizzare entro il 2026».

Ci aspettano insomma novità per questa zona, dopo tanti anni di attesa…
«Novità che mi auguro abbiano anche un effetto volano su corso Martiri della libertà».

Lei si presenta con diverse liste, all’interno delle quali però si rintracciano due dei vizi principali della politica moderna, che spingono alla disaffezione chi vota liberamente: la presenza di trasformisti e di imputati sotto processo. È davvero impossibile farne a meno?
«Il trasformismo è un vizio che purtroppo riguarda tutti gli schieramenti, ma dico due cose: l’elettore ha la possibilità di castigare chi opera la transumanza e, alla fine dei conti, quello che importa davvero è il candidato che rappresenta tutti. Nel mio caso, tutto si può dire fuorché che io sia un trasformista. Sono forse l’emblema di coerenza in questa città, sono stato sempre dalla stessa parte. Purtroppo, invece, quello che porta alla disaffezione è lo svuotamento dei partiti, ormai solo dei contenitori e non più volano di idee, momento di concepimento di una linea progettuale o di un modello di società, e questo ovviamente amareggia anche me. Per quanto riguarda i processati, io ho posto delle condizioni precise: niente pendenze delicate. Sul resto ho ritenuto di far prevalere il principio costituzionale di non colpevolezza fino alla sentenza definitiva, quanto meno su reati che non hanno un effetto sulla candidabilità o eleggibilità non ho insomma voluto frustrare le attese di chi si vuole proporre agli elettori, che poi decideranno».

Però parliamo anche di casi di voto di scambio e truffa, due reati che mi sembrano attinenti al governo di una città.
«È vero, c’è il caso di un imputato per voto di scambio, ma ricordo che si tratta del tipo semplice, non aggravato dalla mafia insomma, quindi con pena irrisoria. Questo ovviamente non significa che, se sarà condannato, io sarò felice o potrei essere indulgente. Inutile fingere: per me la moglie di Cesare non solo dev’essere pura, ma deve anche apparire pura; quindi mi piacerebbe che fossimo immuni da qualunque contestazione, anche per incoraggiare gli elettori ad andare a votare e non offrire spunti per alimentare la diffidenza».

Ecco, lei fa riferimento all’astensionismo che è ormai davvero il primo partito alle urne. Cosa direbbe a chi non va a votare?
«Che nessuno ha titolo per lamentarsi nel momento in cui non esprime un voto. Quando si dissente nei confronti di un sistema, bisogna anche provare a supportarne uno nuovo, quindi dico di andare a votare, per chiunque si voglia».

Lei ha fatto parte della giunta uscente come assessore, quindi sarebbe ingenuo chiederle quale sia, nella sua visione, il principale problema di Catania. Le chiedo piuttosto la cosa che non siete riusciti a fare e vorrebbe vedere nei prossimi cinque anni.
«Non siamo riusciti a fare tante cose, perché abbiamo ereditato una condizione finanziaria disastrosa. Non abbiamo potuto assumere, abbiamo solo 110 vigili urbani su 900 di cui dovremmo dotarci, avevamo solo quattro tecnici laureati degli oltre 40 previsti in pianta organica. Abbiamo insomma, scusando l’espressione, ricogghiuto l’ogghiu do maccu e, nonostante questo, siamo riusciti comunque ad attirare finanziamenti comunitari e del Pnrr. Certo, alcuni li abbiamo persi proprio perché non eravamo in grado di progettare, ma abbiamo dato fondo a ogni risorsa. Faccio un esempio: nel 2020 è stata esitata la nuova legge urbanistica regionale, che ha azzerato il lavoro fatto per il nuovo piano regolatore. Ma per sei volte abbiamo riunito ordini professionali, associazioni del terzo settore e chiunque volesse partecipare per elaborare le nuove linee programmatiche che adesso sono pronte e possono andare in consiglio comunale. È vero anche che alcune cose potevano essere fatte meglio, come piazza della Repubblica, il cui bando è risultato inesatto, per usare un eufemismo. Quello nuovo è pronto, ma i privati non lo hanno ancora mandato all’Urega e la gente non lo capisce, dando la colpa all’amministrazione».

Aggiungo io un problema: il degrado generalizzato della città. Catania è sporca e intrisa di una inciviltà dilagante. Come si contrastano questi fenomeni?
«È obiettivamente così. E c’è una causa, quanto meno alla sporcizia: abbiamo portato la differenziata dal 6 al 40 per cento ma, se i cittadini non collaborano, è inevitabile che la città sia sporca. Neanche un sindaco della Marvel, e quindi un supereroe, potrebbe tenere pulita la città o risolvere i problemi di sicurezza senza la reale collaborazione dei cittadini. Perché la sporcizia non cade dal cielo, siamo noi a metterla dove non dovrebbe stare: e allora l’amministrazione deve fare di tutto per liberare queste aree ed evitare che diventino un incentivo a sporcare, ma bisogna lavorare soprattutto sulla comunicazione. Non dobbiamo dimenticare che i rifiuti sono risorse e, anche se molti catanesi non lo sanno, se portassero la spazzatura nei centri di raccolta, che a breve passeranno da due a sei e poi a dodici, otterrebbero uno sconto sulla Tari».

Come riassumerebbe il suo programma elettorale in tre punti?
«Concretezza, autorevolezza e conoscenza dei problemi della città, per cercare di dare a questa meravigliosa Catania la spinta per un nuovo rinascimento. Le premesse ci sono tutte: quando parliamo con chi viene da fuori, nonostante tutti i mali che vengono messi in luce, sentiamo dire che questa città ha un’energia mostruosa. Non voglio essere retorico, ma stiamo parlando su delle basole di pietra lavica che, venendo dalla profondità della terra, ha conosciuto i misteri del mondo. È come se questa effervescenza alla fine colorasse la città e questa narrazione può dare la spinta a un processo di rigenerazione di Catania».

Si è fatto un’idea delle persone a cui parla questo programma, di chi sono i suoi elettori? Lo diceva lei stesso: la sua è una storia politica molto coerente, ma siamo in un momento storico in cui le differenze ideologiche sono sfumate.
«Può sembrare un paradosso: io ho sempre fatto parte della destra più radicale ma, nonostante questo, tra i miei amici di destra sono sempre stato considerato il più progressista. Perché bisogna avere l’intelligenza di non rimanere ingessati in una visione conservativa, ma comprendere che la società è in continua evoluzione e accogliere gli umori che nascono da questo dinamismo. Il mio programma è quindi per tutti i catanesi di buona volontà e soprattutto per quelli che amano Catania. È chiaro che se ci sono cittadini, e sono tanti, che credono che la città sia degna di essere amata solo il 5 febbraio o se la squadra di calcio sale di serie, non andremo molto lontano. Sono però incoraggiato da esperienze di altre città come Napoli, che per me è identica a Catania, in cui questo processo di elaborazione culturale si sta ormai consolidando. Se dovesse succedere anche qui, mi creda, avremo la città più bella del mondo».

A proposito di cultura: Catania una volta era famosa per la sua proposta culturale e anche per la sua movida. Adesso non mi sembra che sia rimasto molto. Come si fa a invertire questa tendenza?
«Perché purtroppo la movida è stata interpretata come degenerazione e teppismo. Fermo restando che la sicurezza dipende dal prefetto e abbiamo pochi vigili, l’amministrazione deve intervenire senza accampare alibi. Qualcosa va fatta e io ho già chiesto al ministro della Difesa Guido Crosetto di inviare alcuni militari. Non perché voglia mostrare il pugno duro, ma perché il vuoto venga colmato dalla presenza dello Stato e sottratto a chi pensa di passeggiare in modo impunito molestando le persone nel centro storico».

Per queste elezioni amministrative stiamo mandando avanti una operazione trasparenza e quindi le chiedo una stima della spesa della sua campagna elettorale e chi la finanzia.
«Onestamente non so dire con precisione perché ho delegato questo aspetto, ma posso dire che finora, attraverso le contribuzioni e le cene di autofinanziamento, ovviamente tutte in chiaro, abbiamo raccolto credo intorno a 80mila euro. Assolutamente sufficienti perché coprono per lo più soldi già spesi per i cartelloni 6×3 già fatti. Non intendo fare altri manifesti né volantini, quindi le altre spese si limiteranno forse all’affitto di qualche sala negli hotel».


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