Com’era Pasqua quando non c’erano uova di cioccolato Tra i riti della settimana santa e le tradizioni familiari

Un periodo fantastico e indimenticabile, quello pasquale. Non c’erano le uova di cioccolato come oggi, ma eravamo felici lo stesso. Oggi non è più così. Non solo perché non ci sono più né la genuinità e neanche la semplicità di quel tempo, ma perché si è persa la tranquillità. Con un virus che, quando sembra dare l’impressione di essere stato sconfitto, si ripropone sempre diverso e più aggressivo che mai, c’è poco da stare tranquilli. Se a questo si aggiungono le notizie provenienti dall’Europa dell’est foriere di prospettive affatto incoraggianti, il quadro è ancora più completo. Pasqua era preannunciata dalla Domenica delle Palme, che tutti – grandi e piccoli – attendevamo con impazienza. Prima prendevamo parte alla processione che si svolgeva lungo la via principale, poi partecipavamo alla messa e quindi tornavamo a casa con le foglie di palma intrecciate e con i ramoscelli di ulivo benedetti, che la mamma avrebbe sistemato dietro la porta d’ingresso delle nostre case. I grandi tornavano con le palme che poi avrebbero portato in campagna per piantarle in mezzo alle verdi distese di frumento, affinché non mancasse la protezione divina. Poi la settimana proseguiva. In ogni casa era un fervore. 

Si cominciava con le pulizie straordinarie di primavera e si proseguiva con la preparazione di dolci, pan di spagna e cicilia, per i quali mia mamma e le sue sorelle si riunivano a casa della nonna.
Era un appuntamento fisso, quest’ultimo. Non solo per la mamma e le zie, ma anche per noi che l’ultimo giorno prima delle vacanze, il mercoledì, quando finiva la scuola (si usciva anticipatamente perché c’era mezzo orario), invece di tornarcene alle nostre case, andavamo dalla nonna.
Partecipavamo anche ai riti pasquali, come la Lavanda dei piedi del giovedì durante l’ultima cena (Missa in coena domini) e la Processione del Cristo morto del venerdì. Il sabato sera andavamo in chiesa e aspettavamo, dopo il lungo rito di preparazione, la Caduta della tela che svelava la resurrezione di Cristo, cui seguiva la celebrazione della messa. 

Finalmente arrivava la domenica di Pasqua ed eravamo felici non perché indossavamo il vestito della festa, ma perché la festa la portavamo dentro di noi, nel cuore. Qualche volta il tempo era splendido, qualche altra no. In quest’ultimo caso i vecchi ripetevano il solito ritornello A Natali ccu suli, a Pasqua ccu tizzuni.
A Pasqua facevamo la Comunione, preceduta dalla confessione qualche giorno prima. Quest’ultima spesso procurava una certa tensione. A livello personale, dico. Perché attraverso quello che veniva chiamato esame di coscienza rivedevamo i nostri comportamenti per individuare i nostri errori, anzi i nostri peccati. Cosa che ci procurava un senso di colpa non indifferente. Le confessioni di noi ragazzi, specie i più piccoli, duravano tantissimo perché ogni trasgressione, anche la più innocente, doveva essere confessata. Poi arrivava la penitenza, che consisteva in un numero di preghiere proporzionate ai peccati. Quando vedevamo qualche nostro compagno attardarsi nella preghiera, era certo che l’aveva combinata grossa e allora cominciavamo a interrogarci su cosa avesse potuto combinare. 

Poi arrivava finalmente il pranzo, quasi sempre a casa delle mie nonne. Era semplice, ma non era come quello degli altri giorni. Era un pranzo speciale, cui mia mamma e le mie zie avevano contribuito dedicandogli il meglio della loro arte. Noi ragazzi esibivamo i cicilia che ci erano stati donati. Non tutti però avevano lo stesso numero di uova, perché queste variavano in funzione dell’età.
Il pomeriggio c’era il giro dei parenti, da noi atteso con la mente proiettata ai ragazzi che avremmo potuto incontrare e soprattutto agli altri cicilia che avremmo potuto ricevere. «Santu e riccu», ripetevano i più anziani mentre ricevevano gli auguri. «Ccu bonu distinu», aggiungeva qualche altro. Espressioni semplici, ma ricchissime di contenuto e di grande sensibilità.
L’indomani arrivava il lunedì di Pasqua. Come da tradizione si andava in campagna, dove si consumavano i resti del giorno prima, cui venivano aggiunte valanghe di carciofi arrostiti, salsiccia e spinelle di maiale. 

Vito Sapienza

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