Il film di De Biasi incassa molto, ma convince poco. Costruito su molti stereotipi compresi quelli sugli studenti di Scienze della comunicazione ha di buono Vaporidis, la Capotondi e il suo truccatore
Come tu mi vuoi, sagra del luogo comune
Certamente gli iscritti in scienze della comunicazione non gradiranno il nuovo film di Volfango De Biasi. Film pieno di ripetitivi luoghi comuni sulla voglia di non far niente degli iscritti in scienze della comunicazione.
La pellicola è il risultato di una sceneggiatura priva di spunti interessanti e piena di stereotipi fastidiosi sul jet set romano, messo costantemente – e spesso in maniera imbarazzante a confronto con la vita stentata dei fuorisede, costretti a enormi sacrifici pur di pagarsi gli studi. In Italia sembra ormai che ci sia un processo di standardizzazione delle riprese, una sorta di schema prefabbricato e arbitrariamente assunto che impone ai registi di utilizzare la camera in un certo modo, in modo da far riconoscere il genere di film a primo colpo, così da costringere immediatamente coloro i quali si fossero trovati per caso al cinema e non avessero nemmeno visto il trailer: la solita storiella mieloso-generazionale.
La protagonista è Giada (Cristiana Capotondi) una studentessa fuorisede con un pessimo gusto nellabbigliarsi e nel truccarsi. Concentrata sui libri evita il contatto con gli uomini, fin quando per gioco Nicolas Vaporidis la sedurrà fino a farle perdere del tutto la testa, mettendo in discussione i valori su cui Giada aveva fondato fino a quel momento la sua vita. Finale scontato, ma non troppo.
Nota positiva la crescita di Nicolas Vaporidis. Su Cristiana Capotondi ancora qualche dubbio, ma comunque brava nei panni della strafiga, un po meno nei panni dellimbranata sfigata. Unaltra nota molto positiva riguarda la straordinaria abilità del truccatore che è riuscito a trasformare la stupenda Cristiana Capotondi in una secchiona brufolosa.