Sabato scorso 16.500 volontari hanno raccolto 446 tonnellate di prodotti a lunga conservazione. Cioè tra il 6 e il 9 per cento del totale che ogni anno il Banco alimentare distribuisce. La restante parte viene dall'Europa e dai privati. Ma per arrivare ai più bisognosi si passa da una rete di realtà convenzionate
Colletta alimentare, dove andrà a finire il cibo? In Sicilia attorno al Banco una rete di 878 strutture
Sabato scorso 16.500 volontari siciliani hanno partecipato attivamente alla colletta alimentare. Nell’Isola sono state raccolte 446 tonnellate di alimenti a lunga conservazione, poco meno dell’anno scorso. Ma che fine farà adesso tutto questo cibo? Chi lo gestirà? Resterà sul territorio? Ne usufruiranno veramente i più bisognosi?
Migliaia di pacchi di genere a lunga conservazione sono subiti finiti nei magazzini del Banco alimentare, organizzazione di volontariato che in Sicilia si sdoppia: una nella parte orientale, a cui fanno riferimento sei province e mezza, l’altra nella parte Occidentale in cui confluiscono i territori di Palermo, Tapani e la restante parte di Agrigento. Entrambe sono coordinate dalla Fondazione nazionale Banco alimentare, con sede a Milano e attiva dal 1989. Nel 2014 le due organizzazioni hanno aiutato 320mila persone, distribuendo 7.470 tonnellate di cibo. Di queste solo una piccola parte, tra il 7 e il 9 per cento del totale, proviene dalla raccolta svolta nella giornata della Colletta alimentare che per il 2015 si è svolta proprio sabato scorso.
«Noi non consegniamo direttamente gli alimenti ai fruitori finali – spiega Domenico Messina, direttore dela Banco alimentare della Sicilia orientale – ma ci avvaliamo di una rete di strutture caritatevoli convenzionate». Nell’Isola sono 878. Si tratta per lo più di caritas parrocchiali, mense dei poveri, organizzazioni di volontariato non lucrativo che hanno come obiettivo il contrasto alla povertà. Quali sono i requisiti per avvalersi dei pacchi del Banco? «Chi ne fa richiesta deve dimostrare di svolgere attività di aiuto alimentare da almeno un anno – sottolinea Messina -. In più chiediamo lo statuto, l’atto costitutivo, una relazione sulla loro azioni e l’elenco delle persone assistite divise per nuclei famigliari, per ogni famiglia un fascicolo con Isee. Quindi avviamo un percorso di verifica che ha per ultimo momento la visita della struttura». La valutazione spetta a una commissione interna al Banco, formata da volontari. «La convenzione – aggiunge il direttore – viene rinnovata di anno in anno, solo dopo aver aggiornato i fascicoli». Le 446 tonnellate raccolte sabato scorso in Sicilia rimarranno dunque interamente nell’Isola.
Il sistema di distribuzione usato per il post-colletta vale anche nella quotidianità. La fetta più importante degli alimenti gestiti dal Banco alimentare viene dall’Unione europea, in particolare dal programma Fead (Fondi di aiuti europei agli indigenti), a cui attingono anche moltre altre organizzazioni. Dal 2014 l’Italia riceve 75 milioni di euro all’anno, che progressivamente caleranno fino a 65 milioni nel 2020. Questo tipo di aiuti in Sicilia rappresenta il 60 per cento dei pacchi distribuiti dal Banco. Prodotti realizzati in larga parte nel nostro Paese. «Lo Stato – continua Messina – fa una vera e propria gara d’appalto, i soldi che dà sono sempre quelli, 75 milioni, vince chi offre più alimenti». La restante parte della torta di aiuti che il Banco distribuisce, circa il 30 per cento, arriva dai privati. «Dal 2003 – conclude – esiste una legge detta del buon samaritano, che equipara tutte le organizzazioni che recuperano cibo e lo distribuiscono a fini sociali al consumatore finale. Questo significa che l’azienda, il supermercato che vuole donare è responsabile fino al momento in cui cede il prodotto. Poi spetta a noi».