CLASSIC: The Dark Side Of The Moon – Pink Floyd

Pink Floyd

THE DARK SIDE OF THE MOON 

(EMI, 1973)

 

 

Il lato oscuro della luna, della sua luna, storta, quella di Roger Waters, alzatosi un dì con il solito cattivissimo umore e con un’intolleranza sempre più feroce contro tutto e tutti, contro se stesso, contro gli uomini, rei, a parer suo, d’esser pedine dal volto levigato, dagli occhi senza pupille e apaticamente mossi solo da istinti che, agli inizi degli anni ’70, sono telecomandati dalla velocità, dalla bramosia di successo, dai soldi . Come una sorta di scala mobile, grigia, rumorosa verso la follia, sì la follia, quella di cui il sorpassare il sottile limite è alla portata di tutti.

Sono gli ultimi mesi del 1971 quando Roger mette sul tavolo la sua nuova intuizione: presentare una sorta di catalogo dei vizi contemporanei. Gilmour, Mason e Wright non poterono che essere piacevolmente investiti dal delirio programmatico del bassista ed è così che si parte, con il gruppo unito. Il lavoro da portare avanti aveva bisogno delle interpretazioni “spaziali” di ognuno dei componenti e, non è mistero, infatti, che The Dark Side Of The Moon è l’album che meglio rappresenta storicamente l’armonia di una band che in seguito finirà stritolata dalle dittature artistiche ed umorali di Roger Waters. Vediamo quindi un Rick Wright in splendida forma nelle sue concettuali parabole sonore, Gilmour che scalda la sua voce mentre disegna assoli memorabili, Mason che diviene decisivo collante ed il tecnico del suono Alan Parsons che mescola il tutto per bene con i suoi mixer miracolosi.

 

Ma ritorniamo per un attimo al titolo dell’album : quel lato oscuro di cui Waters ci vuole narrare è la lucida percezione di una società ormai storpiata dai nei che invadono il suo volto, dove ognuno finisce per essere oscurato dalla torbida eclissi della luna sul sole. Il tempo che fugge e che ci lasciamo scappare (“Breath”, “Time”), il vil denaro (“Money”), la guerra che divide (“Us and Them”), la morte (“The great gig in the sky”) , su tutto ciò i Pink Floyd scagliano le loro frecce infuocate.

A completare la solennità del disco ci pensa la cover disegnata dal duo grafico degli Hipgnosis (una costante dei dischi dei PF): una prisma penetrato da un fascio di luce poi scomposta nei colori dell’arcobaleno. Una copertina che negli anni farà parte delle collezioni per ben 25 milioni di volte.

Dunque partiamo con questo viaggio concettuale.

“Breath” , piazzata come esplosione sublime dell’intro rumoristico di “Speak To Me” (Parsons – Wright), comincia l’album ed è l’esortazione che Waters pone saggiamente come esordio.

 

 

Respira, respira nell’aria,
non aver paura d’insistere

 

 

La voce di David Gilmour è luccicante e dondola efficacemente sui dolci ricami dei compagni, “respira”, canta David, che chiede di farlo, senza dimenticare chi siamo, senza farsi stritolare dalla velocità, senza farsi beffare dal tempo. La fretta ci condanna e ci automatizza, come conigli che istericamente scavano la propria tana per poi rimettersi al lavoro da capo. Senza stacchi il brano cambia ritmo, ora è un ticchettio che domina la scena, l’uso della rumoristica è un altro punto forte dell’album dove il già citato Parsons interpretò le visioni maniacali di Waters in un importante lavoro audio-fonico sulle tracce del disco. Sostanzialmente si fece un passo avanti rispetto al passato in cui la sperimentazione constava nel riproporre i rumori quotidiani tramite gli strumenti, ora è la mistione tra musica e suoni a calcare la scena. Così, alla fine della dolce “Breath”, fanno irruzione dei passi che corrono e c’è anche un elicottero che incombe sulle nostre teste. Wright si sbizzarrisce con gli effetti della sua tastiera, Parsons si fa prendere la mano dai fragori e confusione usciti dalla sua consolle, siamo in “On the Run”, strumentale che richiama la corsa del coniglio e che anticipa l’impazzare di campanelli e dei rintocchi di orologi che aprono la solennità di “Time”.

Se prima, in “Breath”, Roger, con i suoi versi, esortava l’uomo-coniglio a rallentare e a godere pienamente del proprio tempo, in “Time”, grazie all’ausilio della chitarra lunga ed indimenticabile di Gilmour, sottolinea però che non se ne perdi di vista il suo trascorrere inesorabile. L’uomo infatti si fa spesso inghiottire dalla staticità e dall’intorpidimento della quotidianità, non respira (come si diceva prima) “ e poi un giorno scopri

che dieci anni ti son passati davanti” . Eccolo l’altro grande vizio della

società: il non controllare il proprio tempo. Sempre richiamando in causa “Breath”, nel verso finale del brano si dice così: “corri (coniglio), corri verso un precoce sepolcro”. Quell’anticipazione prepara il campo per l’entrata in scena della morte che incombe sulla faccia oscura dell’album, anzi più precisamente è la psicosi degli uomini nei confronti del pensiero della morte che interessa all’autore. Ed accade che per commentarla, per citarla, forse omaggiarla, i Pink Floyd chiesero all’elegante Clare Torry di decorare con la sua splendida voce l’impennarsi di una melodia tutta made in Wright, fatta di un esordio pianistico commuovente che poi s’innalza in un crescendo di organi e rullate (Mason). Le urla divine di Clare rimarranno indimenticabili, la cantante non formula nessuna parola, si limita a picchiare l’ascoltatore con degli acuti sensazionali a metà tra un canto pagano verso il cielo e struggenti richieste d’aiuto, magari da un aereo in avaria.

Il battitore di cassa ed il tintinnio di monete si interseca, a questo punto, con il basso ritmico di Waters, “soldi un’ eccitazione (…) soldi un crimine (…)” canta Gilmour ed è certamente questo il principe dei vizi dell’uomo. La ricerca del successo, della ricchezza è attaccata, derisa, ironizzata dal bassista in un episodio considerato tra i meno intensi dell’album ma che non lasceranno quasi mai le scalette dei live dei Floyd. Ma anche il ritmico blues di “Money” sfuma lentamente per disintegrarsi nella silenziosa sacralità dell’organo che fa da cornice alla splendida “Us and Them”.

Il 24 Gennaio del 1973 sembrarono finalmente cessare le ostilità della chilometrica Guerra in Vietnam con un armistizio firmato dal Ministro statunitense Kissinger a Parigi. (poi conclusasi definitivamente con la capitolazione USA a Saigon nell’Aprile del ’75). Dopo più di 20 anni di battaglie gli Stati Uniti dovettero leccarsi le ferite portate dalla frenetica difesa di quello che ironicamente veniva definito “popolo delle formiche”. Quel conflitto così inutile e così tragico aveva scosso le opinioni della gente, “L’uomo perde se stesso con una divisa ed un fucile in mano, l’uomo perde il senno”, Waters aveva ben chiara la sua opinione su questo tipo di operazioni belliche internazionali e la guerra tritauomini entrerà anch’essa nel diabolico catalogo di decadenza umana che fonda Dark Side ed il suo robusto corpus.

 

 

Avanti! gridò dal fondo
mentre la prima linea moriva,
il Generale seduto, e i confini sulla mappa
si muovevano avanti e indietro

 

 

Il verso, che ricorda da vicino la sublime assurdità della pellicola kubrickiana “Orizzonti di Gloria” ci conduce ad un punto focale dell’album. Waters parla di divisione, tra “noi e loro” (Guerra Fredda?), ma parla più in generale dell’incomunicabilità tra gli individui qui rappresentata, all’estremo, dall’esempio della guerra.

La bellezza del pezzo è creata da un’atmosfera nera, rassegnata, arresa, Mason frusta piano le pelli, il piano di Wright è memorabile tanto quanto il sassofono di Dick Perry e, a partecipare alla quasi definitiva condanna al genere umano, ci stanno pure una squadra coristi che alza i toni del pezzo quasi a rappresentare la scure che cade sulla testa degli uomini.

Il gospel di “Brain Damage” risolleva un po’ il morale oltre alle frequenze dell’album, ma non certo si risparmia, anch’esso, ad arricchire la gamma masochistica di Dark Side Of The Moon.

Ed il finale di “Eclipse” chiarisce maggiormente la posizione masochistica di Roger Waters che, tramite l’anafora “tutto quel che”, ci snocciola il suo pensiero conclusivo.

 

 

 

Tutto quel che tocchi e tutto quel che vedi
Tutto quel che assaggi, tutto quel che senti

Tutto quel che ami e tutto quel che odi

(…)

Quel che tu crei, quel che distruggi
E tutto quello che fai e che dici

(…)

E tutto quanto sotto il sole è in sintonia
Ma il sole è eclissato dalla luna

 

 

 

Tutto ciò che l’umanità, operosa, costituisce, fa, ama, crea, sarà un miracolo splendido fino a che la luna incalzerà il sole colorando di pazzia, tormento, squilibrio il nostro bel mondo.

Waters mise punto così al suo catalogo dei vizi moderni battezzando Dark Side Of the Moon come opera immortale e di successo oltre che un album di portata e valore universale.

Riccardo Marra

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