Ciancio, Procura e Tribunale rispondono «Serve conoscere gli atti prima di giudicare»

Continua a suscitare polemiche l’editoriale di Pietro Barcellona su La Sicilia di mercoledì 28 novembre a difesa dell’editore-direttore del quotidiano etneo Mario Ciancio Sanfilippo e contro il «pressapochismo giudiziario» del giudice Luigi Barone che ha disposto nuove indagini per l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa nei confronti di Ciancio. Indagini sulla linea editoriale del giornale che invece si è sempre distinto per pluralità e sensibilità d’informazione, scrive Barcellona incredulo. Dopo avvocati e giornalisti, a rispondere al docente catanese sono oggi, in una nota congiunta, due delle massime autorità giudiziarie cittadine: il procuratore della Repubblica di Catania Giovanni Salvi e il presidente del tribunale etneo Bruno Di Marco.

«E’ doveroso precisare che alcun accertamento è stato mai disposto “per verificare la linea editoriale del giornale”», scrivono in risposta a Barcellona. Una nota secca, di nemmeno dieci righe, ma che rimanda al mittente ogni accusa. «Ferma restando l’assoluta intangibilità e pienezza del diritto di critica – concludono Salvi e Di Marco – quanto all’asserzione di “pressapochismo giudiziario”, sarebbe più giusto affidare alla reale conoscenza degli atti i giudizi sulla serietà, sulla correttezza e sulla professionalità degli organi giudiziari». In sintesi, la stessa risposta arrivata ieri a Barcellona dal penalista catanese, membro dell’Osservatorio dei diritti cittadino, Goffredo D’Antona. «Quando si dà del pressappochismo a qualcuno, sarebbe opportuno studiare, leggere, sapere di cosa si sta parlando – scriveva ieri l’avvocato – Altrimenti si corre il rischio che il pressapochismo lanciato si trasformi, ritorcendosi contro, in ignoranza». E lo sa bene il procuratore capo Salvi, che del procedimento a carico di Ciancio si sta occupando personalmente, affiancando in queste nuove indagini disposte dal gip il sostituto titolare del caso Antonino Fanara.

A rispondere nel merito all’editoriale di Pietro Barcellona, sempre ieri, era stato anche Sebastiano Gulisano, giornalista catanese emigrato a Roma dopo la chiusura del mensile I Siciliani nuovi. «In quegli anni, non ricordo una sola presa di posizione del professore Pietro Barcellona contro i potenti della città. Nessuna parola. Solo silenzi». Eppure, cita il professore tra alcuni esempi, oltre ai suoi stessi interventi La Sicilia pubblicò un’intervista a Pio La Torre in cui non si tacevano denunce di connivenze e malaffare. «Prendiamo per buono ciò che sarebbe successo oltre trent’anni fa – risponde Gulisano – E i trent’anni successivi?». Il giornalista li racconta «in pillole», attraversi stralci dei suoi articoli, compresi alcuni passaggi oggi al centro delle indagini a carico di Ciancio. I racconti sommari della caratura criminale di Nitto Santapaola, i necrologi negati al giornalista Giuseppe Fava e al commissario di polizia Giuseppe Montana – entrambi uccisi dalla mafia -, le anticipazioni sulle indagini sull’omicidio di Fava, la presunta sgridata a un cronista che aveva definito mafioso il boss Giuseppe Ercolano. E ancora la pubblicazione della lettera di Vincenzo Santapaola, figlio di Nitto, senza alcuna contestualizzazione, nonostante sia detenuto al 41bis e impossibilitato a comunicare con l’esterno.

Su tutto questo, ricorda Gulisano, Ciancio ha già risposto quando chiamato in aula dalle parti civili. «Non esercito alcun controllo sugli articoli – rispose l’editore-direttore ai giudici – Sono il padrone del giornale, mi preoccupo di mille cose, non dei particolari».


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Dopo un penalista e un giornalista, sono due delle massime autorità giudiziarie cittadine a rispondere all'editoriale pubblicato mercoledì su La Sicilia in cui Pietro Barcellona difende l'editore-direttore del quotidiano etneo dall'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Accusando i giudici di «pressapochismo». «Alcun accertamento è stato mai disposto “per verificare la linea editoriale del giornale”», scrivono il procuratore capo Giovanni Salvi e il presidente del tribunale Bruno Di Marco

Dopo un penalista e un giornalista, sono due delle massime autorità giudiziarie cittadine a rispondere all'editoriale pubblicato mercoledì su La Sicilia in cui Pietro Barcellona difende l'editore-direttore del quotidiano etneo dall'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Accusando i giudici di «pressapochismo». «Alcun accertamento è stato mai disposto “per verificare la linea editoriale del giornale”», scrivono il procuratore capo Giovanni Salvi e il presidente del tribunale Bruno Di Marco

Dopo un penalista e un giornalista, sono due delle massime autorità giudiziarie cittadine a rispondere all'editoriale pubblicato mercoledì su La Sicilia in cui Pietro Barcellona difende l'editore-direttore del quotidiano etneo dall'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Accusando i giudici di «pressapochismo». «Alcun accertamento è stato mai disposto “per verificare la linea editoriale del giornale”», scrivono il procuratore capo Giovanni Salvi e il presidente del tribunale Bruno Di Marco

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