Alle otto e dieci, in via Pipitone Federico una Fiat 126 parcheggiata fu fatta esplodere con un comando a distanza. Uccisi anche due agenti e il portiere dello stabile
Chinnici, 34 anni fa moriva il ‘papà’ del pool antimafia Grasso: «Tra i primi a capire peculiarità Cosa nostra»
Con l’attentato contro Rocco Chinnici, padre del pool antimafia e capo dell’ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, il 29 luglio 1983 per la prima volta si materializzò a Palermo lo spettro delle stragi di mafia. Un’auto imbottita di esplosivo, lo scoppio violentissimo, il telecomando a distanza, la distruzione, la morte: un copione che purtroppo avrebbe avuto delle tragiche repliche negli anni a venire. Insieme al magistrato morirono i carabinieri di scorta maresciallo Mario Trapassi e appuntato Salvatore Bartolotta, e il portiere dello stabile Stefano Li Sacchi.
Alle otto e dieci, in via Pipitone Federico, sotto l’edificio in cui risiedeva il giudice, una Fiat 126 parcheggiata di fronte fu fatta esplodere con un comando a distanza. Sopravvisse solo l’autista Giovanni Paparcuri, parzialmente protetto dalla blindatura, ma comunque gravemente ferito. Trentaquattro anni dopo Palermo ricorda ancora quell’eccidio: deposizione di una corona di fiori nel luogo dell’agguato, messa al Comando Legione carabinieri e presentazione della nuova edizione del volume ‘L’illegalità protetta’, alla presenza, tra gli altri, del comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette.
Il Presidente del Senato Piero Grasso, già giudice a latere del maxiprocesso, ha commemorato oggi l’anniversario della morte di Rocco Chinnici: «Un altro ricordo doloroso – ha scritto su facebook la seconda carica dello Stato – 29 luglio 1983, Via Pipitone, Palermo: la mafia uccide con un’autobomba Rocco Chinnici e, con lui, il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, il brigadiere Salvatore Bartolotta, il portiere dello stabile in cui abitava il giudice, Stefano Li Sacchi. Chinnici – prosegue il post – fu tra i primi a capire la dimensione e la peculiarità della mafia. Fu proprio lui, ad esempio – aggiunge – a insistere per il coordinamento delle indagini su ‘cosa nostra’, l’unico modo per poterla combattere in modo efficace: fu l`inizio del famoso pool antimafia di Falcone e Borsellino, quello che pochi anni dopo portò alla sbarra la Cupola nel maxiprocesso. ‘Papà Rocco’ mi ha insegnato molto: io, come altri giovani magistrati che lui amabilmente chiamava ‘i plasmoniani’, ho imparato tantissimo da questo incorruttibile uomo – conclude Grasso – profondamente innamorato del suo lavoro e sinceramente impegnato nella lotta alla criminalità organizzata».