Chimica, Unict risponde: «Nessun pericolo» Ma cinque anni dopo parte il piano-sicurezza

«Non esiste alcun pericolo per il personale del corpo D dell’edificio 1 e, quindi, non esiste nessun motivo per procedere con una interruzione delle attività». Eppure, il prossimo mese, un piano di caratterizzazione e messa in sicurezza verrà presentato al Consiglio d’amministrazione. L’università di Catania, attraverso il responsabile dell’Area della prevenzione e sicurezza Piergiorgio Ricci, risponde così dopo la pubblicazione dell’articolo nel quale CTzen ha reso nota la campagna di analisi effettuata tra l’ottobre 2009 e l’ottobre 2010 nella quale la maggior parte dei valori limite fissati dalla legge – di elementi come metalli pesanti, benzoderivati e arsenico risultano ampiamente superati. L’edificio della cittadella universitaria, afferma il dirigente, è stato «oggetto di attenta e scrupolosa valutazione da parte dall’Ateneo». Una risposta uguale a quella fornita nel novembre 2011 ai membri del Movimento studentesco che chiedevano informazioni sulla questione.

Tra confinamento e rischio
L’ingegnere Ricci spiega come «è stata rilevata una contaminazione confinata alla porzione di terreno sotto al corpo D dell’edificio 1 e riferita ai soli parametri: metalli pesanti (rame, cobalto, cadmio) e idrocarburi pesanti. Nessun altro elemento è stato riscontrato nel terreno oggetto di indagine preliminare superiore ai limiti di legge». Le analisi consultate da CTzen – parte di un fascicolo redatto dai tecnici della stessa università – riferiscono anche il superamento di benzoderivati, arsenico ed escherichia coli. Anche prendendo in esame i soli elementi citati dal responsabile – i metalli pesanti se non a diretto contatto non provocano problemi alla salute –  il termine confinato può essere accostato a un’area al di sotto di un dipartimento universitario? Secondo la norma di riferimento in materia ambientale per indicare come potenzialmente contaminato basta anche un solo valore superiore alla soglia stabilita. Una definizione che viene data «in attesa di espletare le operazioni di caratterizzazione e di analisi di rischio sanitario e ambientale sito specifica». Ecco perché fino al definitivo accertamento che dovrebbe svolgersi dopo il mese prossimo, non si può parlare di pericolo. Ma di rischio.

Proseguendo nella sua risposta, Ricci scrive che alcuni materiali analizzati sarebbero in realtà un «residuo fognario che nulla ha a che vedere con il terreno sottostante». L’ingegnere prosegue: «Gli elementi rinvenuti in tale materiale rappresentano solamente l’indicazione di un potenziale scarico nel sistema fognario di rifiuti liquidi speciali provenienti da attività di laboratorio, di cui non si può determinare l’origine». Uno scenario già visto nel vicino edificio 2 – quello che ospita l’ex facoltà di Farmacia – che ha portato all’avvio del procedimento per disastro ambientale e gestione di discarica non autorizzata (quest’ultimo reato è caduto in prescrizione).

Il sistema fogniario
La replica del dirigente universitario si sposta poi a quella che viene definita «l’eventuale e tecnicamente “fantasiosa” diffusione di tali elementi verso l’ambiente attraverso le due pavimentazioni di confinamento». Ricci conferma che l’analisi dell’aria non ha portato a risultati negativi, così come scritto nell’inchiesta di CTzen e come accaduto anche nei rilevamenti della vicina Farmacia, ed esclude che dagli impianti di aspirazione dei laboratori, «in qualunque configurazione di esercizio», ci sia la possibilità di una risalita di vapori.

Per quanto riguarda le saie – i canali rivestiti in materiale antiacido che fungono da impianto fognario – Piergiorgio Ricci ammette il loro stato non più originario, risalente a metà degli anni Sessanta. Definite «certamente in condizioni di vetustà», con «dei punti di rottura nella parte sommitale delle pareti». Ma una saia raggiunge in altezza circa 40 centimetri e – proprio a causa dei riconosciuti problemi strutturali – non è difficile immaginare come i reflui di qualsiasi tipo possano lasciare il percorso stabilito e disperdersi al di sotto della struttura. Tanto che le indagini svolte nell’edificio 1 sono partite proprio dal riscontro di umidità in alcuni pilastri interni. «Solo risalita di cattivi odori tipici della fognatura, a cui si è temporaneamente ovviato con la sigillatura dei pozzetti che collegano l’ambiente con la saia sottostante», garantisce il responsabile. «Il sistema a saie raccoglie i soli reflui dei servizi igienici e dei lavandini dei laboratori e non è utilizzato per lo scarico di rifiuti speciali liquidi, che vengono raccolti e smaltiti secondo le norme di legge e le procedure fissate dallo specifico regolamento d’ateneo». Nulla che possa aggravare «le condizioni di contaminazione ambientale riscontrata».

Gli allagamenti
Il punto successivo è quello relativo «agli eventi meteorologici del settembre 2011 e febbraio 2013». Gli allagamenti del cortile del corpo D dell’edificio 1 sono «conseguenza del mancato deflusso della pioggia tramite la rete comunale esterna – continua Ricci – Ciò determina l’allagamento del piazzale esterno all’edificio e di una parte dell’edificio stesso, ma non vi è alcuna correlazione importante con il sottosuolo poiché l’acqua è defluita in poche decine di minuti». Eppure gli effetti dell’evento del 2011, sono stati così gravi da danneggiare sia gli arredi interni dei laboratori al livello del parcheggio che le strumentazioni. Il livello dell’acqua all’interno si è attestato a oltre un metro, defluendo anche dai canali di scolo a terra presenti nei laboratori. Anche questi collegati alle saie. Contestabile, dunque, la posizione secondo la quale non ci sarebbe stato «nessuno scenario apocalittico di stravolgimento dei dati dell’indagine preliminare, di migrazione verso presunte falde acquifere e nessun impatto sul sistema fognario».

Il Mose
A scongiurare un nuovo fenomeno dovrebbe contribuire il cosiddetto Mose, il sistema antiallagamento. «È realizzato nel cortile esterno all’edificio, dove non è risultata presente alcuna contaminazione». La quinta campagna ha avuto come oggetto punti esterni: anche lì, nel 2010, si è registrato il superamento dei valori. Ma, rassicura Ricci, «è stata regolarmente seguita la procedura di legge per le terre di scavo» che prevede uno stoccaggio dedicato, la caratterizzazione del terreno e il conferimento a discarica. In ogni caso, precisa Ricci, «dalle analisi effettuate il terreno scavato non è risultato contaminato».

Gli stanziamenti per la sicurezza
Secondo i vertici universitari «nessun silenzio e nessuna attesa, bensì la giusta attenzione di questo ateneo agli aspetti ambientali e di sicurezza». Il Progetto sicurezza d’ateneo prevede per il 2015 in totale uno stanziamento di quattro milioni e 200mila euro. Oltre due milioni serviranno per il rifacimento di Scienze chimiche. E proprio prima dell’avvio di questo piano, dopo un passaggio preliminare al Cda, partirà un piano di caratterizzazione e analisi del rischio da inviare «subito» agli enti competenti. Cinque anni dopo il rilevamento dei primi dati che avrebbero dovuto portare a un approfondimento di questo tipo.

 

Leggi la risposta integrale dell’ateneo.


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L'università etnea alle domande di CTzen dopo l'inchiesta sui risultati delle analisi compiute tra il 2009 e il 2010 e finora mai sfociate in un piano di caratterizzazione: «Nessun silenzio o attesa - afferma il responsabile dell'Area della prevenzione e sicurezza Piergiorgio Ricci - bensì la giusta attenzione di questo Ateneo agli aspetti ambientali e di sicurezza». L'operazione partirà il mese prossimo, dopo l'approvazione del Cda

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