Chimica Arenella, viaggio dentro al lager dei cani Tra macerie e cenere ancora una decina di animali

Tutto intorno solo macerie, oggetti bruciati, edifici vuoti che sembrano pronti a crollare. Un posto che non esiste più, quel che resta della fabbrica di lievito all’interno del grande complesso della Chimica Arenella. Quello che è stato tristemente ribattezzato da un po’ di tempo il lager dei cani. E dire che dopo l’incendio che ha devastato Monte Pellegrino lo scorso 16 giugno e che ha portato alla morte di molti dei cani reclusi all’interno dei ruderi industriali, le cose sembravano avviarsi verso un epilogo diverso. Solo un breve periodo di pausa. Oggi, tra i cunicoli della struttura l’odore acre di bruciato si confonde nuovamente con quello insopportabile di urina e feci di cane. A dare il benvenuto lungo la stradina d’ingresso, infatti, sono due grandi rottweiler neri che abbaiano forte, chiusi dentro a un recinto che sembra improvvisato. Un po’ troppo piccolo per dei cani di quella taglia. Accanto a loro, una coppia di meticci, che appaiono in salute e, in un altro recinto, tre pitbull neri. 

Anche per loro la porta d’ingresso della loro cella è la rete di un letto riadattata per l’occasione. Tra le maglie il grosso maschio dal pelo lucido sporge il muso per ringhiare ai pochi passanti. Insieme a lui gli altri due, più esili. Uno ancora poco più che un cucciolo, l’altro con in faccia molte ferite ancora non completamente rimarginate. Non si sa se per colpa di un combattimento o di un alterco finito male con i suoi due coinquilini. Eppure di combattimenti, assicurano i volontari, in quel posto, ce ne sono stati molti. Continuando sul sentiero, verso le costruzioni industriali abbandonate, il clima è surreale. Si sente un continuo abbaiare, ma non si riesce a capire da dove provenga. I cani sembrano essere ovunque, i loro richiami riecheggiano tra gli edifici, ma non si vedono. Sono ben nascosti. Non tutti  gli animali sono reclusi tuttavia. Due cani di grossa taglia, neri entrambi, si aggirano tra i rifiuti e le piante carbonizzate. All’inizio sembrano minacciosi, avvicinandosi però si capisce che hanno paura. Uno di loro ha una vistosa ferita su una zampa. Altri cani si intravedono attraverso alcuni buchi di fortuna nelle assi di legno che sigillano tutto, assicurate da grossi lucchetti

Dentro a una stanzetta si riesce a scorgere quella che un tempo doveva essere stata una brandina e dei secchi sparsi. Sul pavimento alcuni filoni di pane invasi dalle formiche. Intorno è tutto buio, non ci sono finestre. Solo cani ridotti all’osso che non fanno che abbaiare. Dall’altra parte dell’edificio, dove l’area abbandonata si scontra contro il quartiere e la prima fila di case, che sulle macerie hanno la propria vista, tre cuccioli di pitbull festanti accolgono con la loro irruenza chiunque si presenti. Sono ben tenuti, «Si sono presentati da soli, poco dopo l’incendio» racconta una signora anziana, la stessa che ogni giorno gli riempie la ciotola d’acqua e di cibo e che ha convinto i nipoti a far mettere in rete la foto dei piccoli, nella speranza che qualcuno li voglia adottare. «Non lo so da dove vengono, forse da là dietro – dice indicando la fabbrica – Dice che ci sono i canili là. Almeno io ho sentito certe cose. Dice che si sono bruciati un po’ di animali». «Speriamo che qualcuno li porti via» Fa eco dal suo balcone affacciato sul cimitero di edifici un’altra donna: «Qua sapete cosa c’è in giro, non durerebbero molto».


Dalla stessa categoria

I più letti

Giustizia per Emanuele Scieri

Sono stati condannati i due ex caporali Alessandro Panella e Luigi Zabara. Finisce così il processo di primo grado con rito ordinario per l’omicidio volontario aggravato del parà siracusano Emanuele Scieri, avvenuto all’interno della caserma Gamerra di Pisa nell’agosto del 1999. Per loro il procuratore Alessandro Crini aveva chiesto rispettivamente una condanna a 24 anni e 21 anni, […]

Catania archeologica, l`occasione mancata

In una nota protocollata al Comune etneo a metà gennaio l'associazione di piazza Federico di Svevia chiede di gestire il bene del XII secolo, abbandonato, per garantirne «a titolo gratuito e senza scopo di lucro, la fruibilità». Adesso interrotta dal cambio del lucchetto del cancello da cui vi si accede e dalle divergenze con uno degli abitanti, che risponde: «C'era il rischio per la pubblica incolumità»

I processi a Raffaele Lombardo