Prendiamo in prestito da ilcibicida.com la recensione del film di Robert Towne per l'ultimo appuntamento di questa sera alle ore 20,30 con il cineforum organizzato dal CASR
Chiedi alla polvere
ANNO: 2006
PAESE: U.S.A.
REGIA: Robert Towne
CAST: Colin Farrell, Salma Hayek, Donald Sutherland, Idina Menzel, Eileen Atkins, Dion Basco, Jeremy Crutchley, Justin Kirk
TITOLO ORIGINALE: “Ask The Dust”
Robert Towne è famoso più come sceneggiatore che come regista: sua la firma di grandi e piccoli capolavori come “Chinatown” di Roman Polanski, “Missouri” di Arthur Penn, “L’ultima corvée” di Hal Ashby. Da quando diventò amico di Fante, nei suoi ultimi anni di vita, Towne ha tentato più volte di portare sullo schermo il capolavoro dello scrittore italo-americano: l’adattamento cinematografico di Chiedi alla polvere rappresenta la realizzazione di una passione durata svariati anni (alla concretizzazione del progetto di Towne ha contribuito Tom Cruise, che si è impegnato a produrre il film).
L’opera di Towne merita di essere vista per più di un motivo: la Los Angeles degli anni 30 (interamente ricostruita in Sudafrica) è una gioia per gli occhi, la fotografia è accattivante al massimo, i personaggi presentati sono di una tale umanità che coinvolgono e suscitano immediato interesse nello spettatore, la prestazione dell’intero cast è formidabile. L’irlandese Colin Farrell nei panni di un italo-americano se la cava egregiamente e offre la sua migliore interpretazione assieme a “Una casa alla fine del mondo”. Salma Hayek, dopo “Frida”, conferma non solo di essere una bellissima donna ma soprattutto un’attrice di talento. Perfetta Idina Menzel che ricopre il non facile ruolo della donna deturpata (dentro e fuori). Da applauso a scena aperta l’intenso cameo di Donald Sutherland, vicino di stanza del protagonista, disilluso e disperato: delitto di lesa maestà se non otterrà tutti i premi disponibili!
Il ritmo è lento (non noioso), l’atmosfera di altri tempi è palpabile fin dai bellissimi titoli di testa, l’ambientazione è curatissima nei minimi particolari. “Chiedi alla polvere” presenta però alcuni difetti. Innanzitutto non bisogna cercarvi il romanzo di Fante. Questi, al suo alter ego Arturo Bandini, dedicò quattro scritti, e “Ask The Dust” ricostruiva le vicende dello stesso Fante quando cominciò sotto auspici piuttosto negativi la sua vicenda di romanziere. Nel libro massima importanza ricopre la città nella sua fase adolescenziale (adolescenziale come lo è la carriera letteraria dello scrittore): “Se esiste un pezzo di narrativa migliore su Los Angeles, allora non lo conosco”, ha dichiarato Towne. Ma nel film la città fa da sfondo, non è “un personaggio” dalle mille sfaccettature (prostrata, depressa, seducente, volgare…) che con la sua polvere copre non solo le cose ma anche le anime delle persone. La sua storia economica e politica è completamente assente e ciò toglie fascino e profondità a quanto vediamo sullo schermo. Colin Farrell è bravissimo nel ritratto “romantico” di Bandini, ma latitano la sua etnicità e le caratteristiche evidenti nel romanzo (egocentrismo, meschinità, vergogna per le proprie origini, disprezzo razzista, ironia, velleità piccolo borghesi…).
Scrive Il Corriere della Sera: “Viene un po’ meno, nella messa in scena di Robert Towne, la chiave ironica e autodenigratoria, ma anche la rabbia e la disillusione, così inconfondibili nei testi di Fante”. Non appare poi il Bandini cattolico con i tipici sensi di colpa della fede e quindi molti comportamenti del personaggio non sono facilmente decifrabili. Le insicurezze, i dubbi, le gioie e le delusioni che la vita quotidiana riserva a tutti noi vengono descritte nel lavoro di Fante in maniera perfetta, senza tralasciare il timore che ognuno ha del futuro: tutto ciò è assente nel lavoro di Robert Towne. Il regista ha puntato tutto sulla love story (peraltro cambiandola: nel libro, a differenza del film, Arturo ama sì Camilla ma questa ama Sammy che la fa soffrire e la caccia). Ha scritto un critico: “Chiedi alla polvere è quasi il rivale letterario di Sulla strada, entrambi romanzi di formazione, entrambi simbolo d’una creatività cattiva, simboli eterni della malattia moderna: l’indifferenza per il male che attanaglia la loro America…”. Vano tentativo cercare tale problematica nel film.