Prodotto da Luc Besson, esce nelle sale cinematografiche Il missionario, commedia degli equivoci francese che porta sullo schermo le vicende di un criminale che, per scappare dalla malavita, si finge parroco di provincia
C’erano un prete e un delinquente sulle Alpi…
Dopo quasi sette anni di carcere duro, Mario Diccara (Jean-Marie Bigard) è libero. In prigione ha tenuto la bocca chiusa, ma ha nascosto il bottino e ora teme che i suoi ex-soci della malavita si presentino a riscuotere la loro percentuale. Così, dopo essere sfuggito ad un attentato, chiede aiuto alla sola persona di cui si fida davvero: suo fratello. Patrick, sacerdote cattolico, gli trova un nascondiglio dove rifugiarsi finché le acque non si saranno calmate e gli suggerisce di raggiungere Padre Etienne in un paesino dell’Ardèche, sulle Alpi. Mario, quindi, si traveste da prete e parte alla volta del suo nuovo nascondiglio. La copertura di Patrick è una buona idea: funziona bene, forse troppo. Infatti, arrivato al paese, Mario scopre che Padre Etienne è appena deceduto e in paese sono tutti convinti che lui sia il suo sostituto, cosa che gli genererà non pochi problemi. Ed è da qui che hanno inizio le le prime noie… Nel frattempo, padre Patrick, per aiutare il fratello delinquente incallito, è costretto a fare da intermediario con un pericoloso boss della malavita: ruolo che gli riserverà non poche rogne e sorprese.
Uscito nelle sale italiane il 19 febbraio, “Il missionario” è un film francese del regista esordiente Roger Delattre. Basato sulla regola del gioco d’equivoci, tocca il tema dello scontro tra laicità e religione, in salsa comico-parodistica, tra gag irresistibili e fraintendimenti surreali. Un personaggio (in questo caso specifico sono due: Mario e Patrick) è costretto ad adattarsi all’interno di un mondo completamente diverso rispetto a quello da cui proviene. Questo spiazzamento causa infinite situazioni comiche, fraintendimenti colossali e attimi di imbarazzo, che si susseguono come un domino che, una volta innescato, non può più fermarsi. Il gioco è sempre lo stesso: il protagonista in cerca di un rifugio, prende al volo un’occasione piovutagli dal cielo. Crede di essere salvo ma si ritrova intrappolato in uno scambio di persone e non può fare a meno di finire in mezzo a un mare di guai. La scelta del regista, aiutata dall’influenza di un produttore d’eccezione come Luc Besson, trasforma una semplice commedia francese in film adatto ad essere proiettato nelle sale internazionali, e regala alla pellicola curiosità e un ritmo coinvolgente, che non annoia mai lo spettatore.
Il film è divertente e comico ai limiti dell’assurdo, ma nulla di più. Infatti, non basta Besson a renderlo un capolavoro. La pellicola funziona, specialmente nell’opposizione tra uomini di chiesa e criminali, costretti a fondersi e a scambiarsi di ruolo, dando vita a situazioni ai limiti del paradosso, ma non mancano i difetti. I dialoghi, per quanto brillanti, a tratti sono scontati e le battute raggiungono picchi non proprio felici. Inoltre, la regia di Delattre rispecchia troppo lo standard televisivo, e il film nell’insieme ne risente non di poco. Nessun peccato mortale, ma nemmeno trovate geniali. Il film è adatto a chi vuole ridere, senza impegno e senza andare alla ricerca di una pellicola d’autore.
Consigliato fortemente a chi ama la commedia degli equivoci.