Un dipendente su quattro dei centri per l’impiego di tutta Italia lavora nelle strutture siciliane. Se a livello nazionale si contano 7.934 addetti (pochi rispetto agli equivalenti in altri Paesi europei), 1.737 di questi sono di stanza nell’Isola. Una figura cruciale adesso che il governo Lega-M5s tira dritto verso l’introduzione del reddito di cittadinanza che dovrà passare proprio dai centri per l’impiego. Marzo 2019 è la scadenza fissata per riformare il settore ed essere pronti alla gestione della nuova misura. «Sei mesi a partire da ora significa avviare contemporaneamente la riforma dei centri e l’introduzione del reddito, impossibile», spiega Enzo Silvestri, presidente dei Consulenti del lavoro che oggi si sono riuniti a Siracusa per il convegno regionale e hanno presentato il rapporto con dati aggiornati.
«Nei 501 Centri per l’impiego (Cpi) italiani operano 7.934 addetti, e la regione col maggior numero di dipendenti è la Sicilia (1.737), che raccoglie poco meno del 22% del totale del personale. Malgrado ciò, l’Isola è maglia nera in Europa per quota di persone a rischio di povertà, o di esclusione sociale (52,1%), e ha anche il primato della quota di popolazione dai 15 anni in su a rischio povertà (41,3%)». Anche se dal confronto tra i servizi per l’impiego pubblici nazionali e quelli europei emerge un forte squilibrio nei numeri degli operatori: in Francia gli addetti sono 50mila, in Germania 110mila e in Italia non raggiungono gli 8mila.
Perché in Sicilia ci sono, in proporzione rispetto al resto d’Italia, più dipendenti nei Cpi ma il sistema non funziona? «I centri – spiega Silvestri – ricalcano un male atavico della Regione, hanno cioè assorbito moltissimi precari che non hanno né qualifiche né professionalità adatte. E nessuno ha pensato a riqualificarli». Il risultato sono strutture ingolfate che non riescono a svolgere il ruolo di ponte tra disoccupati e offerta lavorativa. «Il disegno del governo sulla carta è corretto – analizza il presidente dei consulenti del lavoro – mentre si prende il reddito di cittadinanza, il Cpi dovrebbe pensare e proporre concrete offerte di lavoro e se se ne rifiutano più di tre, si perde il diritto al sussidio. Ma onestamente mi riterrei contento se i Cpi siciliani riuscissero a fornire anche soltanto una offerta di lavoro».
Non esiste un efficace collegamento con il mondo imprenditoriale. «Statisticamente – continua Silvestri -, e parlo di una media nazionale, solo il tre per cento di persone in cerca di lavoro riesce e trovarlo tramite i centri per l’impiego. Come si fa a cambiare in maniera radicale questo sistema nel giro di qualche mese?». Altro dato preoccupante è il successo dell’Assegno di ricollocazione, un nuovo strumento non obbligatorio, attivo dallo scorso maggio dopo una fase sperimentale, che consentirebbe a chi prende già da quattro mesi la disoccupazione (oggi Naspi) di chiedere un importo da 250 a cinquemila euro da utilizzare presso i soggetti che forniscono servizi di assistenza intensiva alla ricerca di lavoro (centri per l’impiego o agenzie per il lavoro accreditate). «In Sicilia 85mila persone al momento potrebbero chiederlo ma non lo fa praticamente nessuno, perché c’è questo meccanismo malato per cui si preferisce sfruttare fino alla fine il sussidio Naspi. Sicuramente – conclude – serve potenziare la sinergia tra centri per l’impiego e agenzie private»
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