Riparte la mobilitazione contro la riforma della scuola e dell'Università. Stamattina il ministro dell'Istruzione - che accusa i sindacati e gli insegnanti di fare disinformazione - doveva arrivare in visita al Rettorato di Palermo: lei non c'è ma un corteo di protesta con tremila studenti sì. Perché, come dice una maestra di sostegno di Catania, "in ballo c'è la stessa democrazia"- La riforma della scuola secondo Luciana Litizzetto
Cattivi maestri
“In Sicilia ci sono mille posti in meno di sostegno solo quest’anno: non sono solo mille persone che non lavorano, ma altrettanti ragazzini disabili che non hanno insegnanti di sostegno. Qui parliamo di diritti che non vengono esercitati: questa è la cosa più grave in uno stato che si proclama democratico, ma che democratico in realtà non è”.
Venerdì scorso, finita la manifestazione dei Cobas al Palazzo Centrale, intorno alle 15, nel cortile della sede della Cgil di via Crociferi, incontriamo animi più sereni, ma non meno agguerriti. Gli insegnanti del Comitato di sostegno di Catania e quelli di Siracusa si stanno organizzando per i banchetti che sono stati poi allestiti nel weekend. Continuano a fare gruppo. Continuano a parlare. Continuano a sperare in una vita migliore. Progettano anche di andare a Roma, di occupare a Catania l’ex- Provveditorato, La Provincia…
La prof che abbiamo intervistato nel video sostiene di essere la prova vivente che la ministra Gelmini non dice la verità quando afferma che non si tratta di tagli, ma solo di “razionalizzazioni”.
Ma anche chi un lavoro ce l’ha, ci descrive una situazione non certo rosea: Giuseppe D’Accampo, 43 anni, insegnante di matematica e fisica – da 11 anni precario – quest’anno ha solo mezza cattedra (9 ore). E poi dicono che l’insegnante ha un posto sicuro: macché!
Agata Puglisi, 38 anni, precaria: ‹‹Ogni anno a fine giugno aspetto già il primo di settembre per le convocazioni. Sperando di rientrarci ogni anno. Non vado in vacanza per non sprecare soldi che mi potrebbero servire quando non lavoro: i tre mesi estivi non percepisco un euro››.
Carmela Blanco: ‹‹Dopo sei anni da ricercatrice ho scelto di fare l’insegnante››. Ora rischia sì un lavoro con uno stipendio fisso, ma da precaria. ‹‹Attenzione, noi vogliamo la riforma, ma con altri termini. Intanto perché non iniziano a razionalizzare le risorse per i progetti “Pon” (Il progetto operativo nazionale per la scuola, legato ai fondi strutturali europei, ndr)?
Cambiamo certi criteri: al nord una neolaureata lavora, al sud io con tre specializzazioni sono a casa››. Di nuovo Puglisi: ‹‹Non dimentichiamo che per raggiungere la “chimera del nord” – tralasciando il fatto che per mantenersi da soli ci vogliono più soldi – occorrono anche le “soffiate”. Qual è la regione, città, la scuola che ha più posti liberi in un dato momento? Sembra tutto così facile e scontato dall’esterno››.
Ci avviciniamo ad un gruppo il cui dialogo verte principalmente sugli anni di disoccupazione accumulati: anziché chiedersi a vicenda “da quanti anni lavori”, il leitmotiv è “da quanti anni sei precario?”. Una triste gara.
Niente gira in modo nuovo purtroppo, anzi va sempre peggio. Come quelle vecchie ruote che cigolano, cigolano fino a che si rompono. La solita tiritera. E chi ci rimette?