Catania, tra infortuni e inno portasfiga Ma il maestro Brigantony ci salverà

Di solito mi annoiano alquanto le conferenze stampa, le interviste del dopopartita, i commenti sempre uguali a se stessi, la prevedibile retorica dell’intero circo della stampa sportiva. Ci sono, s’intende, le dovute eccezioni: mirabili spettacoli di arte verbale che si fanno apprezzare anche da chi di calcio non sa niente, e nemmeno vuol saperne. Capolavori assoluti di oratoria, magari pronunciati in lingue impervie o innovative. Come il leggendario tedesco di Giovanni Trapattoni (sintatticamente un po’ sconnesso, non lo nego, ma non privo di una sua efficacia). O l’ibrida multilingua di Gennaro Gattuso, capace di eludere con le sue evoluzioni angloitaliane la marcatura del suo malcapitato traduttore greco.

Pur non amando il genere, però, da qualche settimana aspetto con una certa curiosità le conferenze stampa di Giuseppe Sannino. Il quale, in un mondo in cui si è soliti ripetere copioni vuoti e slavati, ha il raro pregio di parlare di cose vere. E di dire ad alta voce che il re è nudo. Così, una settimana fa, a chi gli chiedeva notizie di Almiron, Sannino ha fatto capire senza mezzi termini che su questo giocatore – propinatoci all’inizio del campionato tra le prove dell’eccellenza della nostra rosa – non si potrà fare, per un tempo imprecisato ma non breve, nessun affidamento. Ieri poi, alla vigilia della trasferta di Frosinone, Sannino ha detto quello che nessun allenatore aziendalista aveva avuto il coraggio di dire; e cioè che l’organico messogli a disposizione dalla società non è assolutamente adatto per puntare alla serie A. A smentire Cosentino e le sue rassicurazioni sulla completezza della rosa, del resto, Sannino ci aveva già pensato nei fatti. Con la scelta discreta ma eloquente di schierare Ciro Capuano nell’impensata posizione di mediano.

Oggi, poco prima della gara di Frosinone – che poi abbiamo puntualmente perso per 1 a 0 – Sannino ha commentato la formazione che aveva deciso di mettere in campo spiegando in televisione che lui, inevitabilmente, doveva scegliere quegli undici uomini. Inevitabilmente: come a dire che, se avesse potuto evitare alcuni di questi, sarebbe stato molto più contento. Ma aveva forse alternative? Quando, al ventiduesimo del secondo tempo, l’allenatore, per scelta tecnica, ha tolto dal campo Leto (uno che, ormai s’è capito, gioca con due tubetti di Bostik al posto delle scarpe) non ha trovato di meglio che sostituirlo con Çani, un longammàtula di quasi due metri, purtroppo totalmente sprovvisto di raziocinio calcistico. E il suddetto Çani ha pensato bene, dopo sei minuti di perfetta evanescenza, di farsi espellere commettendo, a un metro e mezzo dal severissimo arbitro Ciffi, il più sciocco e inutile dei falli di reazione.

Salvo dunque questo cambio, necessario ma infelice, per Sannino c’era poco da scegliere. Gli si è rotto Capuano, al tredicesimo della ripresa, manifestando quello che a tutta prima pare – ma guarda tu – un guaio muscolare. E poi Spolli, dopo un contrasto di gioco che sembrava avergli procurato una botta alla testa, se ne è andato dal campo zoppicando e tenendosi l’inguine. Aggiungendosi alla lista dei giocatori forzatamente assenti per ragioni riconducibili alle loro condizioni muscoloscheletriche.

Ora, dato che Sannino è uno che ama parlare il fresco linguaggio della verità, forse qualcuno potrebbe chiedergli, alla prossima conferenza stampa, se si sia fatta un’idea della ragione per cui la nostra squadra, che vanta un centro sportivo all’avanguardia in Italia, che ha assunto un preparatore atletico – Ventrone – il quale non dovrebbe essere un asino (Conte, si diceva tempo fa, l’avrebbe voluto addirittura per la nazionale), continua anche quest’anno a polverizzare ogni record nell’ambito dell’infortunistica sportiva. Ma probabilmente la domanda sarebbe superflua. Perché io conosco già il responsabile di tutto ciò che ci sta accadendo.

A una disamina laica, serena e razionale, una catena di sciagure così impressionante può avere una sola logica spiegazione. Il colpevole dell’ondata di sfiga che ci perseguita da due anni non può che essere quella làstima d’inno che, esattamente dall’inizio dello scorso campionato, ci viene inflitto ogni volta che andiamo allo stadio. Con l’effetto di indurre fin dalle prime note il pubblico maschile, chissà perché, a mettere le mani nelle tasche, toccando ferro e altri oggetti non metallici. Un inno che ci fa rimpiangere ogni giorno di più quell’altra marcetta, allegra e scoppiettante, che aveva accompagnato la nostra ascesa e permanenza in serie A.

Meno di un anno fa, su queste pagine, implorai il presidente Pulvirenti di tornare al vecchio inno. Essendo l’appello caduto nel vuoto, e rendendomi conto che sarebbe inutile ingaggiare sull’argomento un braccio di ferro con la società, propongo oggi a quest’ultima un’onorevole via d’uscita. Cancelliamo quest’inno portasfiga e facciamone uno tutto nuovo. Sono certo che nessuno obietterà alla mia proposta di affidarne musica e parole a Brigantony. Ho buone ragioni di credere che il cantore di Mi stuppai ‘na Fanta abbia nelle sue corde le note che sapranno scacciare la malasorte. E comunque, male che vada, almeno ci farà sorridere un po’.

Più scuro di mezzanotte, del resto, non può fare.


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