Catania, il Comune vede rosso

Se alle esangui casse comunali potesse dare le stesse pillole con le quali ha reso Silvio Berlusconi «tecnicamente quasi immortale», Umberto Scapagnini sarebbe un sindaco felice. O quantomeno più tranquillo. Invece no. La sua Catania è sull’orlo del fallimento, schiacciata da oltre 40 milioni di debiti e una cartolarizzazione immobiliare tutta giocata sul filo della legalità e i cui nodi stanno venendo al pettine proprio in questi giorni. Gli ispettori del ministero dell’Economia sono appena tornati a Roma, dopo aver esaminato per settimane i conti di quella che una volta era pomposamente chiamata “la Milano del Sud”. La relazione dovrebbe arrivare sul tavolo del ministro Padoa – Schioppa in tempi brevi e pare che sarà durissima. «Buon per Catania che la Sicilia sia una Regione a statuto speciale, altrimenti il Comune rischierebbe di fare la fine di Taranto», spiega a “L’espresso” un tecnico del ministero. Insomma, lo spettro della dichiarazione di fallimento c’è ed è piuttosto ingombrante, solo che toccherà al governatore Salvatore Cuffaro affrontarlo secondo le leggi. E sarà imbarazzante, per una Regione che è la cassaforte elettorale della Casa delle libertà, emettere il verdetto di vita o di morte su un’amministrazione comunale guidata da un forzista che non è soltanto il medico personale del Cavaliere, ma colui che allungò la vita al governo Berlusconi vincendo le comunali del 2005.

Già, sembra passato un secolo dal maggio di due anni fa, quando Scapagnini strappò un secondo mandato da sindaco, quando in tutto il resto d’Italia il centrodestra era alle corde. La sua campagna elettorale si era basata su uno slogan molto semplice: “Catania è bella. Veramente bella”. Il resto, fioriere a parte, ce l’aveva messo la vèrve, il sorriso, l’ottimismo di un medico – stregone che i suoi concittadini chiamano “Sciampagnino”. La polvere, però, era solo nascosta sotto il tappeto. Lo mettono nero su bianco, il 20 febbraio scorso, i revisori dei conti del Comune su richiesta della magistratura contabile siciliana: a furia di mutui e debiti con le banche, «si è arrivati al prosciugamento delle disponibilità liquide e al conseguente stato di tensione finanziaria». I fornitori vengono pagati con mesi e mesi di ritardo e la stessa funzionalità degli uffici comunali è messa a rischio. I disavanzi certificati tra mille difficoltà (i revisori puntano il dito contro un software di gestione del bilancio che farebbe acqua da tutte le parti) parlano di 40,6 milioni per il 2003 e 42,7 milioni per il 2004. in base alla legge italiana, e al Patto di stabilità europeo, i passivi vanno ripianati entro tre anni e le amministrazioni possono indebitarsi solo per investimenti. E non per fare cassa. Alla scadenza del 31 dicembre 2006, quindi, il Comune di Catania avrebbe dovuto rientrare a tutti i costi, pena la dichiarazione del dissesto finanziario. Con l’acqua ormai alla gola, l’amministrazione Scapagnini tira fuori dal cilindro l’ultima magia: vende a se stessa un bel pacchetto di immobili comunali e ottiene nuovi mutui bancari per circa 50 milioni di euro.

La sequenza delle date è rivelatrice del dramma finanziario in atto. Il 24 ottobre 2006, il consiglio comunale dà il via alla costituzione di Catania risorse srl, controllata al cento per cento dal Comune. Giovedì 28 dicembre, mentre la società è ancora in fase di registrazione, viene conferito il mandato le perizie giurate su 14 immobili che il Comune vuole vendere a Catania risorse. Tutte le perizie vengono effettuare venerdì 29 dicembre e depositate entro sera al tribunale. Roba da Guinness dei primati, ma non c’è tempo di compiacersi di tanta efficienza. Sabato 30 dicembre, caso pressoché unico nella storia della città, viene convocato un consiglio comunale che approva la vendita degli immobili. E domenica 31 dicembre, meraviglia delle meraviglie, viene stipulato il rogito notarile tra il Comune – venditore e il Comune – compratore che, pardon, si chiama Catania risorse. Scapagnini e la sua giunta possono festeggiare il Capodanno 2007 tirando un bel sospiro di sollievo. Hanno trovato i soldi, seppure accendendo altri mutui.

Il problema, però, è che la fretta ha fatto commettere qualche errore di troppo. Sono gli stessi avvocati del Comune, in un parere scritto il 18 dicembre 2006 e che non è stato portato all’attenzione del consiglio comunale del 30 dicembre, a segnalare una serie di gravi lacune. I legali, guidati da uno stimato civilista come il professor Vito Branca, fanno notare che Catania risorse avrebbe dovuto essere una spa e non una semplice srl. Che avrebbe dovuto avere un piano strategico pluriennale. Che ci si è dimenticati di fissare i requisiti di onorabilità e professionalità per gli amministratori. Che questi avrebbero dovuto essere estranei all’amministrazione comunale. Che le valutazioni del patrimonio immobiliare da gestire sarebbero spettate agli uffici dell’amministrazione finanziaria dello Stato. Che per le attività di finanzia straordinaria e di cessione degli immobili ci si doveva avvalere di advisor di elevata professionalità (insomma, almeno qualche architetto o geometra). Alla faccia di tutte queste puntuali osservazioni, si è deciso che a presiedere il cda di Catania risorse andasse il segretario generale del Comune. E il “mago” che in un giorno solo, tra Natale e Capodanno, eseguì 14 perizie milionarie è un ragioniere, dipendente comunale pure lui e iscritto all’albo dei revisori contabili.

Come se non bastasse, nell’elenco dei 14 immobili cartolarizzati figurano almeno tre complessi che per il loro valore artistico e culturale avrebbero dovuto essere “sdemanializzati” con apposito procedimento. Si tratta di due ex monasteri, quello di Santa Chiara e quello di Sant’Agata, e dell’ex caserma Malerba, complessivamente valutati oltre 26 milioni di euro. La sovrintendente ai Beni artistici di Catania, Maria Grazia Branciforti, al girare delle prime voci aveva messo le mani avanti e il 23 dicembre del 2005 aveva emesso una nota per ricordare che alcuni immobili non potevano essere dimessi. Il 22 febbraio 2007, informata dell’operazione di Catania risorse, dirama una seconda nota per avvertire il Comune della nullità dei trasferimenti. Magari con un po’ di stizza, un’amministrazione comunale sana e prudente avrebbe comunque ringraziato la signora Branciforti e sarebbe corsa ai ripari. Cinque giorni dopo, la giunta comunale adotta una delibera nella quale si chiede all’assessorato regionale competente di adottare provvedimenti nei confronti della sovrintendente. Che viene prontamente sostituita nel giro di pochi giorni con un ex assessore provinciale dell’Mpa di Raffaele Lombardo.

Di tutta questa storia, nel dibattito politico siciliano non si trova quasi traccia. A Catania c’è in gestazione il nuovo piano regolatore e la Procura, da mesi affidata ad un reggente, ha sì aperto un fascicolo su Catania risorse, ma procede coi piedi di piombo. Sembra quasi che tutti aspettino il “botto” di Padoa – Schioppa. L’unico a sollevare il velo sull’intera vicenda è stato un professore di diritto romano, Orazio Licandro, che dopo anni di battaglie in consiglio comunale ora è deputato a Roma, membro della direzione nazionale del Pdci e capogruppo in commissione Antimafia. Dopo una sua interpellanza della primavera scorsa, gli ispettori del ministeri dell’Economia sono scesi a Catania e hanno passato al setaccio i conti. In un posto normale, tanto basterebbe a consigliare cautela.

Macché: a Catania ne hanno combinate un altro paio. Il consiglio comunale ha autonomamente prorogato di altri sei mesi, ovvero al 30 giugno 2007, il termine per coprire il disavanzo del 2003. e dieci giorni fa, a Catania risorse sono state venduti dal Comune altri nove immobili, tra cui il castello di via Leucatia, per 120 milioni di euro. Tra questi figurano addirittura gli uffici della nettezza urbana e la cittadella dello sport di Nesima, valutata ben 74 milioni di euro e sulla quale il Coni promette battaglia. Quanto basta per far dire al giurista Licandro che «evidentemente, a Catania non si applicano le leggi della Repubblica».

(ripreso da “L’espresso” numero 26 anno 2007)


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