Catania, buon compleanno Addiopizzo

«Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità»,  in questa frase si riconoscono tutti i giovani dell’associazione Addiopizzo e tutti coloro che li supportano nella loro attività di lotta alle estorsioni e alla mafia. E tappezzando la città con questa affermazione il comitato Addiopizzo si è fatto notare a Palermo, dove è nato nel 2004. Da un anno è attivo anche a Catania e per festeggiare l’anniversario ha organizzato un incontro intitolato “L’isola che non c’è – la Sicilia libera dal pizzo” tenutosi venerdì scorso nell’Aula Magna Oliveri di Ingegneria alla Cittadella Universitaria di Catania.

Durante il dibattito è stata presentata l’attività di Addiopizzo Catania, che nasce sulla scia di quella di Palermo, ed ha come obiettivo di rompere il silenzio sulla piaga del pizzo che da sempre affligge la nostra economia e la nostra società e di creare «un consumo critico anti-pizzo» attraverso tre fasi: la raccolta firme dei consumatori che si impegnano ad esercitare il loro consumo indirizzando le loro scelte e preferenze verso le aziende che reagiscono al diktat del pizzo; la costituzione di una commissione di garanzia che verifichi chi sono gli imprenditori e i commercianti che aderiscono all’iniziativa accertando che effettivamente non paghino il pizzo; la pubblicazione della lista di esercenti e imprenditori che hanno dato il loro contributo alla lotta alle estorsioni presso cui il consumatore può recarsi per gli acquisti o per la corresponsione dei servizi.

Per far ciò è stato redatto il Manifesto del cittadino/consumatore che ognuno di noi può firmare per dichiararsi consapevole che le richieste estorsive danneggiano il tessuto sociale, economico e culturale della nostra isola, impegnandosi a scegliere prodotti e servizi di aziende che non pagano il pizzo, chiedendo alle istituzioni e alla polizia di rinnovare l’azione di protezione nei confronti di chi ha avuto il coraggio di denunciare e alle forze politiche un concreto impegno e maggiore sensibilità verso la problematica del racket.

Questi sono i dati emersi durante la conferenza: in Sicilia le vittime dei ricatti mafiosi sono circa 50mila; secondo la Confesercenti l’80% dei commercianti catanesi paga il pizzo e l’Eurispes calcola che da esso la mafia guadagni circa 10miliardi di euro l’anno. I costi che la malavita organizzata impone all’economia siciliana sono esorbitanti: si va dai 60 euro mensili richiesti agli ambulanti ai 17mila euro estorti alle imprese edili, come ha sottolineato Antonino Recupero, membro del comitato Addiopizzocatania e moderatore dell’incontro.

I relatori, prima fra tutti Pina Maisano Grassi, moglie di Libero Grassi, il coraggioso imprenditore ucciso dalla mafia nel 1991, hanno ringraziato i ragazzi di Addiopizzo per il loro impegno e la loro lotta. «I giovani di Addiopizzo sono i miei nipoti e ora con quelli di Catania i miei nipoti sono aumentati», afferma la signora Grassi.

L’imprenditore Antonio Romeo e Mario Caniglia, coordinatore regionale Federazione Antiracket Italiana, hanno raccontato la loro esperienza di vittime del pizzo e della loro ribellione attraverso la denuncia, risultato di una scelta coraggiosa di dignità e libertà. «Dobbiamo vincere la paura che è una reazione umana e naturale, perché la nostra paura è la loro forza», dice Adriana Guarnaccia dell’associazione antiracket catanese Libero Grassi, sottolineando l’importanza di accompagnare chi è ricattato nelle diverse fasi della lotta, dalla denuncia a fin dopo il processo.

L’onorevole Angela Napoli, membro della commissione parlamentare antimafia, e Giovanni Signer, dirigente della squadra mobile di Catania, hanno evidenziato com’è cambiato il pizzo e com’è cambiata la mafia nel corso degli anni. In passato il pizzo era richiesto in cambio della protezione delle attività dai piccoli ladri, oggi invece la mafia li favorisce e la tangente è solo un mezzo per raccogliere denaro. Inoltre, la malavita organizzata si è infiltrata nelle istituzioni e negli organismi che hanno potere decisionale e perfino nelle associazioni antiracket e tenta di inserirsi in settori dell’economia lecita.

Il sindaco di Gela, Rosario Crocetta, ha denunciato con forza il meccanismo degli appalti truccati in Sicilia, attraverso cui gli imprenditori si legano alla malavita, suggerendo anche una serie di semplici correttivi da applicare già nella formulazione dei bandi, come l’obbligo di dichiarare anche gli eventuali subappalti in fase di gara per rendere libere le imprese dall’imposizione di questi ultimi da parte della mafia.

Tutti i relatori hanno sottolineato l’importanza di denunciare e di unirsi per non lasciare sole le vittime del pizzo. «Per sconfiggere il racket ci vuole prevenzione e solidarietà. Anche chi non è mai stato contattato dai mafiosi – suggerisce la signora Pina Malsano Grassi – si deve unire ad Addiopizzo come segnale di solidarietà. A chi obietta sottolineando la fine che ha fatto mio marito rispondo che a Libero è andata come è andata proprio perché era solo».

Tutti hanno ribadito la presenza dello Stato e la fiducia nelle forze dell’ordine, concordando sul fatto che per combattere la mafia bisogna credere e agire in prima persona avendo la consapevolezza che la strada è lunga ed in salita, ma che le cose stanno cambiando. Prima non si poteva parlare così apertamente di mafia e gli imprenditori che si ribellavano venivano lasciati soli; oggi si lotta per sconfiggere il pizzo, per invertire una tendenza che impedisce alla nostra economia di crescere e ai giovani di mettere a frutto le proprie capacità in azioni imprenditoriali, obbligandoli a cercare opportunità altrove. E per farlo bisogna ricordare che, come ha detto il sindaco Crocetta, «la lotta alla mafia non può essere la lotta di pochi, di élite culturali, di magistrati, di imprenditori, ma deve essere una lotta di massa».
 
Per saperne di più su Addiopizzo e le sue iniziative: www.addiopizzocatania.org

Agata Pasqualino

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