Dopo i medici legali che hanno svolto l'autopsia, la commissione ha ascoltato Ivan Mesiti, che ha patteggiato una condanna per concorso personale in violenza contro inferiori per fatti avvenuti la mattina della morte del parà siracusano, avvenuta nel 1999 nella caserma Gamerra di Pisa. Dopo poco si è passati a seduta segreta
Caso Scieri, sentito militare condannato per violenza «È stato un incidente, mai sarei salito su quella scala»
Prosegue l’attività della commissione parlamentare di inchiesta sulla morte del militare Emanuele Scieri che, dopo aver ascoltato i medici legali, nella serata di mercoledì ha audito uno dei militari in servizio nella caserma Gamerra di Pisa all’epoca della morte del parà siracusano.
Si tratta di Ivan Mesiti, caporale graduato in quella caserma dall’aprile del 1999 che, come ha ricordato l’onorevole Gianluca Fusilli, «è stato condannato, e ha patteggiato, per concorso personale in violenza aggravata contro inferiori» dopo le dichiarazioni di 23 dei 60 ragazzi che aveva fatto viaggiare su un autobus con i finestrini chiusi, il riscaldamento acceso in rigoroso silenzio, con il divieto assoluto di addormentarsi e aveva costretto a tenere la posizione della sfinge. Era la mattina del 13 agosto del 1999 e, fra quei ragazzi, c’era anche Emanuele Scieri che morirà quella stessa sera all’interno delle mura della caserma Gamerra.
«A quei tempi non l’ho considerata violenza», ha dichiarato Mesiti, che alla domanda se lo rifarebbe, replica: «Probabilmente non farei accendere il riscaldamento il 13 agosto anche perché su quel pullman c’ero anche io e non sono un masochista. Nello specifico il ragazzo non me lo ricordo, tranne quando vedo delle foto», ha aggiunto il caporale in riferimento a Lele Scieri. Non ricorda il momento in cui ha saputo che all’interno della sua caserma era stato ritrovato il cadavere di un commilitone e non ricorda nemmeno se in quei giorni si parlasse di quanto era avvenuto. Eppure, a smentirlo ci sarebbero delle intercettazioni risalenti ai primi mesi del 2000.
«La sensazione – è intervenuto in commissione l’onorevole Pippo Zappulla – è che lei sia preoccupato di rispondere alle domande. Forse la preoccupazione nasce dalle intercettazioni in cui le veniva chiesto di raccomandare ad altri di dare una versione dei fatti ben precisa, cioè di dire di riferire durante gli interrogatori che al contrappello dormivano tutti e due». I due sono i commilitoni Cinelli e Tatasciore e, secondo la ricostruzione fatta attraverso le intercettazioni, Cinelli avrebbe chiesto a Mesiti di suggerire a Tatasciore di dire, in sede di interrogatorio, che al contrappello dormivano entrambi. «Se va là e gli dice qualche altra cosa, addio!», avrebbe detto Cinelli, intercettato. Frase che viene letta in commissione.
Già nei giorni successivi al ritrovamento del cadavere di Scieri, emergerebbe, sempre dalle intercettazioni telefoniche, che i commilitoni erano preoccupati del fatto che qualcuno potesse collegare quanto accaduto al giovane avvocato paracadutista con gli avvenimenti di violenza fisica e psicologica della mattina sull’autobus. «La mia idea sulla morte di Scieri – ha detto Mesiti rispondendo a una domanda – è che si è potuto trattare solo di un incidente, perché magari è salito su quella scala ed è scivolato giù. Mi fa proprio strano pensare – ha aggiunto – che qualcuno avrebbe potuto ammazzare quel ragazzo. E, comunque, io non mi sarei sognato di salire su quella scala».
Dopo circa un’ora e mezza di audizione, visti i dubbi sulla veridicità delle dichiarazioni rilasciate dal militare, l’onorevole Massimo Enrico Barone ha chiesto di passare in seduta segreta.