Il gruppo di parlamentari chiamati a fare luce sulla morte del militare siracusano Emanuele Scieri ha depositato la richiesta alla Procura di Pisa. «Fra reticenza e omertà - dicono - abbiamo appurato che gli atti di nonnismo alla caserma Gamerra di Pisa erano usuali e tollerati. Scieri è morto in agonia, poteva essere salvato»
Caso Scieri, commissione chiede di riaprire indagini «Individuati nuovi elementi e responsabilità penali»
Dopo 17 anni, arriva a una svolta il caso di Emanuele Scieri. La commissione d’inchiesta parlamentare sulla morte del paracadutista siracusano ritrovato senza vita nella caserma Gamerra di Pisa il 16 agosto del 1999, ha depositato alla procura di Pisa la richiesta di riapertura delle indagini. Istituita il 4 novembre del 2015, la commissione ha indagato «senza pregiudizi», come precisa la presidente Sofia Amoddio durante la conferenza stampa che si è tenuta a partire dalle 13 di oggi nella sala stampa della Camera dei Deputati.
«La commissione – ha dichiarato Amoddio – ha acquisito nuovi elementi non rivelati in passato. Siamo convinti che Scieri sia morto dopo un periodo di agonia e che poteva essere salvato se fosse stato soccorso. Nel procedimento penale di allora, il dottor Iannelli scrisse che era certo che Lele fosse precipitato dalla scala della torre di prosciugamento, sul dorso del piede sinistro furono rilevate tre aperture cutanee a stampo non ricollegabili alla caduta e la logica deduzione era che fu indotto a salire su quella scala – ricorda – da soggetti che ne provocarono la caduta».
Il procedimento di allora venne archiviato perché rimasero ignoti gli autori del reato e il procuratore di Pisa dichiarò: «Mi arrendo. Del resto ci sono delitti perfetti che nessuno scopre». Il Gip archiviò il caso dicendo che erano emersi elementi per affermare che la morte di Emanuele Scieri potesse essere ricondotta alla responsabilità di soggetti rimasti però non identificabili, e che quindi si potesse trattare di omicidio colposo o preterintenzionale.
«All’interno della caserma – ha aggiunto Amoddio, riportando i contenuti di alcune delle audizioni pubbliche – avvenivano all’ordine del giorno gravi atti di violenza e nonnismo non riconducibili a semplice goliardia e che venivano tollerati e coperti, i controlli erano blandi e la zona in cui è stato poi ritrovato il corpo di Scieri non era isolata, ma usata come luogo di svago dai commilitoni anche più adulti e graduati. È questo il contesto in cui maturano le condizioni che portano alla morte di Emanuele Scieri».
Nei quasi due anni di attività, la commissione d’inchiesta ha audito circa 70 fra commilitoni, capi e altri membri folgore. Nonostante i troppi «non ricordo» e «qualcosa che ci è sembrata omertà – ha detto l’onorevole siracusana Stefania Prestigiacomo – da alcuni elementi puntuali e concreti e dagli incroci di varie dichiarazioni, abbiamo riscontrano delle falle da cui devono essere individuate delle responsabilità penali personali e siamo arrivati alla determinazione che ci sono i presupposti per chiedere la riapertura delle indagini».
Durante la conferenza stampa, in particolare, sono state ricordate le audizioni del supertestimone Stefano Viberti che è l’ultima persona ad aver visto Emanuele e quella dell’ex comandante della Folgore, il generale Enrico Celentano. Quest’ultimo, la notte prima del ritrovamento del corpo senza vita di Scieri si recò in caserma per quella che pure il colonnello Fantini – anche lui audito dalla commissione – ha definito una «ispezione anomala alla quale sono stato invitato a partecipare forse per poter fornire un alibi, anche perché Celentano non aveva mai effettuato una cosa simile in tutta la sua carriera».
Racconti, omissioni e reticenze che hanno fatto emergere elementi di responsabilità nei membri della commissione d’inchiesta e che adesso saranno sottoposti al vaglio della procura della repubblica di Pisa. «La riapertura delle indagini rappresenterebbe, in ogni caso, una vittoria – commenta a MeridioNews, Carlo Garozzo amico del militare e membro del comitato Verità e giustizia per Lele – per chi lotta da 17 anni e non vuole arrendersi. È chiaro che ci sono delle chiare responsabilità da parte dei vertici della caserma che non hanno fatto nulla, e ne avevano il potere, per cercare di fare luce su quello che è e resterà un omicidio avvenuto all’interno di un presidio dello Stato. Sarà difficile avere i nomi degli assassini – conclude Garozzo – ma ulteriori indagini potrebbero ridare dignità a Emanuele, a un ragazzo che stava facendo il proprio dovere».