Caso Scieri, ascoltato il pm che chiese l’archiviazione «Il militare fu costretto a spogliarsi e poi malmenato»

Costretto a togliersi i pantaloni, picchiato, buttato a terra e obbligato a rivestirsi prima di salire sulla scala. Sarebbero queste, secondo la presidente della commissione parlamentare d’inchiesta Sofia Amoddio, le ultime azioni compiute da Emanuele Scieri la sera del 13 agosto 1999 all’interno della caserma Gamerra di Pisa dove verrà trovato morto tre giorni dopo. Questa ipotesi è stata avanzata dalla deputata del Partito democratico durante l’audizione di Giuliano Giambartolomei, il magistrato che condusse le indagini all’epoca e che nel 2001 chiese l’archiviazione. L’audizione dell’allora sostituto procuratore del tribunale di Pisa arriva dopo la riapertura delle indagini da parte della procura pisana su richiesta della commissione che da due anni cerca la verità su questo caso. 

All’epoca, il magistrato aveva prospettato due possibili scenari:
una prova di forza del parà con se stesso oppure un atto di bullismo. «Nelle indagini la verità non viene quasi mai fuori». Esordisce così Giambartolomei che durante le prime indagini non aveva correlato la ferita nella parte interna del polpaccio sinistro di Scieri, incompatibile con la caduta dall’alto, con la presenza di terzi. Come mai nella richiesta di archiviazione non era stata presa in considerazione questa lesione che esclude l’ipotesi accidentale e propende per un’aggressione? «All’epoca abbiamo spaccato il capello in 48 e mi sorprende che io non abbia fatto caso a questo elemento», si giustifica l’allora sostituto procuratore senza riuscire a dare una spiegazione plausibile

L’ex pm dopo il ritrovamento del corpo del militare siracusano, non andò alla Gamerra di Pisa. «È un mio cruccio – commenta – ma
fui stoppato dal medico legale Luigi Papi che mi disse che nell’armadietto di Scieri aveva trovato degli psicofarmaci e questo mi fece subito pensare a un suicidio». Per altro, come ricorda la presidente, i Ris intervengono sul luogo solo il 22 agosto, una settimana dopo il ritrovamento del corpo, quando la scena era già stata inquinata e contaminata dallo svolgimento delle indagini dei tre nuclei di carabinieri. Anche delle tracce di sangue ritrovate sulla scala durante i sopralluoghi da parte delle forze dell’ordine, che sono tantissime e non si sa a chi appartengano, non c’è cenno nella richiesta di archiviazione. «I carabinieri non mi riferirono di queste macchie ematiche», dice Giambartolomei.

Militari che mettono le mani sulle macchie di sangue appoggiandosi alla scala, un agente che addirittura sale su uno dei tavoli di asciugatura dei paracadute e poi il 
capitano Cataldo che, senza guanti, prende dal marsupio il cellulare di Emanuele Scieri e chiama il maresciallo Pierluigi Arilli. «A che cosa serviva in quel momento conoscere il numero del militare?», chiede Amoddio a Giambartolomei che non nasconde il suo disappunto. «Se siamo qui per fare un interrogatorio o una critica alle indagini e non una audizione, io cerco di rispondere comunque: all’inizio – ammette – le indagini sono state abbastanza caotiche tanto che il primo nucleo di carabinieri è stato sostituito perché la professionalità non era attendibile». 

Altra questione affrontata è quella della
telefonata partita dal cellulare in uso al comandante della Folgore, Enrico Celentano, alla sua utenza domestica di Livorno alle 23.48 del 13 agosto 1999 mentre è in atto il contrappello all’interno della caserma Gamerra. In quei momenti, ai piedi della scala, in quell’area che la presidente Amoddio definisce «una discarica», Lele Scieri era agonizzante. Perché la procura all’epoca non ha approfondito questo aspetto? Anche questa domanda posta dalla commissione a Giambartolomei resta ancora senza risposta. Come strana rimane la coincidenza dell’ispezione dello stesso Celentano alle 5.30 del giorno di Ferragosto alla caserma. «È possibile che qualcuno sapesse fin da subito cosa era successo a Emanuele Scieri ma che non disse nulla?». È questo uno dei dubbi su cui la commissione sta cercando di fare luce.

Leggi il dossier sul caso Scieri

Marta Silvestre

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