Caso Saguto, le spese dagli abiti di Gucci ai gioielli Il marito: «Dobbiamo calmarci, è una vita assurda»

I vestiti di Gucci, Louis Vuitton ed Hermés. I dolci del bar Costa e le cene a I pupi di Bagheria e al Bye Bye Blues a Mondello e in via principe di Belmonte. I gioielli del negozio di via Mazzini, Geraci, per la maggior parte dei regali destinati ad amici e parenti. «Insomma, regali di un certo spessore». A raccontarlo durate l’interrogatorio del 28 ottobre 2015 è Achille De Martino, agente di scorta della giudice Silvana Saguto da più di 15 anni. Uno di famiglia, in un certo senso. E che, infatti, della famiglia Saguto-Caramma ha raccontato parecchie cose in questi mesi al vaglio dei magistrati della procura di Caltanissetta nell’inchiesta sulla gestione dei beni tolti alla mafia da parte della ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo.

Secondo i racconti dell’agente di scorta, ognuno dei cinque membri della famiglia Saguto-Caramma aveva un’automobile, una motocicletta e, in alcuni casi, anche uno scooter. Tranne la giudice Saguto che aveva l’auto di scorta. Eppure, moglie e marito si lamentavano spesso. «Da parecchi anni a questa parte lei si sfogava in macchina stando al telefono con le amiche. Lamentava il fatto che ci fossero dei problemi economici – continua l’agente – Ma, da quello che vedevamo, tutta questa difficoltà non c’era proprio». Non si spiegherebbe, altrimenti, lo stile di vita condotto anche dai figli della coppia. Uno in particolare, il più piccolo dei tre.

«Mi costa un capitale», dicevano spesso entrambi i genitori. «Gli sembra che l’aereo è come il pullman o l’autobus», scherzavano anche i fratelli. All’inizio, infatti, studiava medicina al Nord Italia e ogni settimana tornava in visita a Palermo. Poi si trasferisce a Roma, dove i genitori gli affittano un appartamento in un residence con piscina. Ma anche l’esperienza di studi romana si chiude e il giovane decide di diventare chef: «Ha fatto parecchi corsi, che hanno dei costi. E poi tutta l’attrezzatura da cucina», dice De Martino. Infine, il ritorno a Palermo e l’affitto di un altro residence con piscina a Mondello. E poi i viaggi, sia in estate che in inverno, e le bollette salate. «Non sono ragazzi che sanno limitarsi nelle spese. Insomma, il tenore era alto», aggiunge l’agente. Saguto, secondo De Martino, pare fosse anche solita mandare la scorta a fare la spesa al posto suo.

Tutto a un tratto, però, le spese – pagate con carta di credito – si sarebbero ridotte drasticamente. Dal 9 settembre 2015, giorno della perquisizione a casa della coppia Saguto-Caramma, sarebbe iniziata l’epoca dei contanti. «Ancora siamo a niente, forse è un segnale di calmarci – dice il marito alla moglie perplessa – La vita che conduciamo, Silvana, è una vita assurda, non c’è bisogno che te lo dica io». Come fanno notare i magistrati, le uscite – tra bonifici, prelievi e addebiti su carta – non vengono mai colmate dalle entrate. Non da quelle ufficiali, almeno, che consistono nello stipendio di lei di 5.500 euro come magistrato e quello del marito di 1.200 euro come insegnante del Cnos. Qualche extra proviene dalle prestazioni di lui, che in breve tempo si trasforma nel consulente dell’avvocato Gaetano Cappellano Seminara.

Dall’analisi della documentazione bancaria, infatti, emerge che dal gennaio 2006 al novembre 2015 Lorenzo Caramma percepisce da Cappellano Seminara oltre 750mila euro. Tutti soldi provenienti da conti intestati all’avvocato o da società sotto sequestro e da lui gestite. Ma Caramma, a cui viene contestato il concorso eventuale nella corruzione, non sarebbe che un tramite attraverso il quale l’avvocato faceva arrivare alla giudice i soldi. In diversi modi, secondo i magistrati: dalle anticipazioni di ingenti somme per prestazioni non ancora o mai svolte a duplicazioni di pagamenti già effettuati, passando per pagamenti in eccesso rispetto ai compensi liquidati dai tribunali di riferimento. Gli indagati avrebbero tratto un vantaggio economico anche facendo in modo che alcuni compensi risultassero pagati solo a metà. Sarebbe il caso, ad esempio, della cosiddetta procedura Spadaro, per la quale il 23 giugno 2015, secondo quanto depositato dalla stessa giudice Saguto, risultavano pagati solo 75mila euro di compenso a fronte di un totale lievitato fino a 100mila.

In ogni caso, che il rapporto fra Cappellano Seminara e la giudice Saguto fosse stretto non sembra essere un mistero almeno per chi è stato vicino alla magistrata. «Da quando la dottoressa è diventata presidente gli incontri fra loro sono diventati frequenti», torna a dire De Martino. E anche le telefonate sarebbero diventate una routine. «A volte mi sembrava quasi come se lei stesse facendo una sorta di rapporto a un superiore. Gli riferiva tutto – prosegue l’agente – Raccontava gli esiti degli incontri con il prefetto, con Rosy Bindi e con la Commissione antimafia». Non sarebbero mancate, poi, le confidenze personali da parte della giudice, specie quelle sui problemi economici della famiglia. «Sono disperata, non ce la posso fare più – dice Saguto, intercettata il 15 giugno 2015, a Cappellano Seminara – Noi non abbiamo più un introito e quello che ho io non basta a pagare le rate, quindi noi siamo rovinati, significa che io dovrei vendermi la casa. Vengono le persone e non le ascolto neanche, sono veramente provata».


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