Il caso è finito al centro dell'attenzione mediatica con la trasmissione televisiva Le Iene. Ripercorrendo i documenti che hanno segnato la vicenda negli ultimi dieci anni si scopre una storia kafkiana. Ad andarci di mezzo sarebbe stato anche un altro dipendente, che però nel frattempo ha deciso di trasferirsi in Canada
Caso Genchi, il chimico che bloccò gli inceneritori Da Cuffaro a Crocetta: atti nulli, reticenze e processi
Documenti incompleti, atti annullati che ricompaiono dal nulla e, sullo sfondo, un processo a cinque tra dirigenti ed ex dirigenti regionali. La vicenda di Gioacchino Genchi – l’ex chimico della Regione sollevato dall’incarico di responsabile del servizio Tutela dall’inquinamento atmosferico, dopo aver ricevuto una valutazione negativa senza valide motivazioni – sembra essere stata partorita dalla mente dello scrittore Franz Kafka. Solo che quanto accaduto a Palermo, tra il 2007 e il 2016, è tutto reale. Seppure apparentemente incredibile.
Della storia si è occupata nei giorni scorsi la trasmissione televisiva Le Iene, che ha raccontato anche di come l’inviato Dino Giarrusso sia stato buttato a terra e placcato dagli uomini della scorta di Rosario Crocetta. Ma l’ex sindaco di Gela è soltanto l’ultimo dei presidenti di Regione coinvolti nel destino professionale di Genchi.
Tutto, infatti, ha inizio nel 2006, quando a guidare la Sicilia è Totò Cuffaro. In quell’anno Genchi dà parere negativo al progetto per i quattro mega-inceneritori che sarebbero dovuti sorgere a Palermo, Casteltermini, Paternò e Augusta. Una decisione che Cuffaro non accetta. E non ne fa mistero. Nel 2007, durante un’audizione alla commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti dice ai parlamentari: «Abbiamo chiesto al ministro di avocare (la pratica, ndr)». Anche se in realtà ad appellarsi al ministero, senza esito, sono state le ditte che avrebbero dovuto realizzare gli impianti, e non la Regione.
I paradossi, tuttavia, iniziano due anni dopo. Quando, con Raffaele Lombardo governatore, la giunta regionale – l’assessore al Territorio era Pippo Sorbello, attuale deputato di Centristi per la Sicilia -, esaminando la scheda prodotta dallo staff del dipartimento «nella quale si propone una valutazione negativa», sospende Genchi da incarichi dirigenziali per quattro anni a partire dal 2007. I problemi, però, sono due: il primo riguarda la scheda in sé che non è mai stata vistata da Genchi e non presenta neanche un giudizio negativo, ma soltanto un punteggio – 58,01 – che in base alla normativa regionale (che prevede come punteggio minimo 50) non consente alcuna sanzione disciplinare; il secondo concerne il numero di anni della sospensione che, secondo la legge, non potrebbero essere più di tre.
Davanti a questo provvedimento e alle evidenze a proprio favore, Genchi fa ricorso straordinario al presidente della Regione. Lombardo lo accoglie e annulla il decreto di revoca degli incarichi dirigenziali. Tutto sembrerebbe essersi risolto, ma non è così. La misura non viene mai applicata e Genchi non viene reintegrato. La situazione diventa poi surreale nel 2010, con il terzo governo Lombardo: nonostante un parere favorevole a Genchi da parte di una commissione interna al dipartimento, l’esecutivo regionale resuscita il provvedimento ormai morto. Riconfermando la sospensione già annullata.
Contattato da MeridioNews, Lombardo dichiara: «Non conosco Genchi, non ci ho mai parlato. Si è trattato di atti proposti dal dirigente generale e dall’assessore». Ovvero da Giovanni Di Mauro, fedelissimo dell’ex governatore e attuale deputato del gruppo Pds-Mpa. Che però alla richiesta di commento sulla decisione di portare in giunta un atto annullato risponde: «Non credo di averlo portato. Ha i documenti? Se li tenga, non ricordo e non mi interessa l’argomento. Quando torno a fare l’assessore ne parliamo».
Lo stallo arriva così fino a Crocetta. E con lui continua. Sono tanti, infatti, i documenti che negli ultimi due anni descrivono il rimpallo di responsabilità tra giunta regionale, assessorato e uffici. A pronunciarsi è anche l’Anac di Raffaele Cantone, ammettendo la poca trasparenza che ha caratterizzato l’intera vicenda e comunicando di aver inviato gli atti in Procura. A maggio 2015, il dirigente generale Maurizio Pirillo, rispondendo all’ufficio di segreteria della giunta regionale, dichiara: «È da ritenersi evidente e indiscutibile l’asserzione che il punteggio di 58 costituisce una valutazione senza demerito, ovvero non negativa, poiché non inferiore a 50 punti». Quattro mesi dopo, però, lo stesso Pirillo suggerisce alla giunta di «astenersi al momento da qualsiasi iniziativa» nei confronti di Genchi.
Dopo la polemica dei giorni scorsi, con Crocetta che prima della puntata de Le Iene aveva attaccato la ricostruzione dei fatti in merito all’aggressione all’inviato, MeridioNews ha provato a contattare il presidente della Regione non ottenendo, al momento, alcuna replica.
Giovedì prossimo, intanto, ripartirà il processo in Corte d’Assise. Alla sbarra ci sono gli ex dirigenti Giovanni Arnone, Vincenzo Sansone, Pietro Tolomeo e Antonino Maniscalco e l’attuale direttore generale del dipartimento ai Beni culturali Sergio Gelardi; tutti accusati di aver dato una valutazione inferiore a quella che il chimico avrebbe meritato nel 2006. Ovvero ben più di quei 58 punti, che tuttavia sarebbero stati sufficienti a evitare tutte le grane a Genchi. Quest’ultimo, a sua volta, ha già inoltrato alla Regione una richiesta di risarcimento danni da mezzo milione di euro.
Tutto questo, per quanto riguarda l’ex chimico. Ma a rimanere incastrato nelle maglie della burocrazia sarebbe stato anche un altro ex dipendente regionale. Si tratta di Alessandro Pellerito, pure lui chimico e, all’epoca dei fatti, braccio destro di Genchi. Pellerito, tuttavia, ha deciso di sfuggire a Kafka: nel 2010 ha lasciato il posto alla Regione e si è trasferito in Canada. Dove 67 – questo il punteggio della sua valutazione – è senz’altro maggiore di 50.