Da un’informativa della Dia e da un’altra della Squadra mobile del luglio 1989 emerge che l’agente ucciso era di turno come scorta il giorno previsto per la strage a Falcone e nel giorno del ritrovamento dell’ordigno. Fabio Repici: «La richiesta di archiviazione dei pm è incongrua e contraddistinta da vizi logici e strumentali»
Caso Agostino, prove legame con attentato all’Addaura Era in servizio, ma il commissariato San Lorenzo nega
Che l’agente Nino Agostino, ucciso a Villagrazia di Carini il 5 agosto 1989 insieme alla moglie Ida Castelluccio, fosse in qualche modo legato al fallito attentato alla villa all’Addaura del giudice Giovanni Falcone è sempre stata una mera ipotesi. A distanza di 27 anni, però, le cose potrebbero cambiare. Esiste infatti un’informativa della Dia di Palermo di aprile 2016 che attesta, nero su bianco, come il personale del commissariato San Lorenzo «abbia espletato servizio di vigilanza presso la residenza estiva del Dott. Falcone, ubicata in località Addaura». Emergono ulteriori particolari anche dall’informativa della Squadra mobile di Palermo dell’11 luglio 1989, in cui risulta che l’agente Agostino aveva svolto «servizio di volante San Lorenzo 1 (scorta)» il 20 giugno sul turno 7-13, insieme al collega Sebastiano Arcieri, lo stesso col quale svolgeva il turno da mezzanotte alle sette del 21 giugno, in aggiunta all’agente Luciano Tirindelli. Fino ad ora Agostino era risultato non in servizio proprio per quei giorni di giugno.
Purtroppo, però, queste informazioni non emergono da alcun rapporto giudiziario o documento proveniente dagli uffici dello stesso commissariato San Lorenzo, secondo il quale invece «non è stata pervenuta alcuna traccia documentale – anche in ragione del lasso di tempo trascorso – circa un impiego di personale di questo commissariato in servizi di vigilanza fissa, dinamica e radiocollegata in località Addaura». L’attuale dirigente del commissariato, Luca Salvemini, malgrado l’informativa del 1989 esclude infatti categoricamente un possibile coinvolgimento degli agenti dell’epoca.
Novità che, però, da sola non basta a giustificare la continuazione delle indagini, al punto che i pm Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia il 18 novembre scorso hanno inoltrato alla gip Maria Pino la richiesta di archiviazione del procedimento a carico dei tre imputati: i boss Gaetano Scotto e Antonino Madonia, e l’ex agente della mobile in pensione Giovanni Aiello, noto come faccia da mostro. Non bastano neppure le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, come quelle di Vito Lo Forte, che nella ricostruzione del 2010 lega tutti e tre gli imputati al delitto Agostino e al movente della presunta interferenza dell’agente con il tentativo di attentato all’Addaura: «Le dichiarazioni di Lo Forte sono de relato – cioè apprese indirettamente – e prive di riscontri individualizzanti e non possono da sole sostenere l’accusa in dibattimento», scrivono i magistrati nella richiesta di archiviazione, dove si sottolinea anche che «la quasi totalità dei collaboratori di giustizia ha dichiarato di non aver appreso in ambienti mafiosi alcunché che potesse apportare un utile contributo conoscitivo alle indagini in corso».
Stesso discorso anche per il pentito Vito Galatolo, che parla del delitto Agostino nel gennaio 2016, ma riportando «soltanto ricordi tendenzialmente generici» e informazioni provenienti da voci che circolavano all’interno della propria famiglia mafiosa. Per far andare avanti il procedimento non basta neppure il risultato positivo raggiunto in seguito al confronto all’americana nell’aula bunker dell’Ucciardone il 26 febbraio di quest’anno, quando Vincenzo Agostino, padre dell’agente assassinato, riconosce in Aiello una delle due persone che settimane prima del delitto era andata a Villagrazia di Carini a cercare il figlio. Secondo i pm fondamentale è il lungo lasso di tempo intercorso tra l’epoca dell’omicidio e il momento dell’individuazione personale, oltre ai cambiamenti fisici dell’imputato e alla divulgazione, nel tempo, della sua immagine in ambito mediatico. Tuttavia, i magistrati rivelano come sia «tuttora in corso una complessa e articolata attività d’indagine, in corso di svolgimento nell’ambito di autonomo procedimento», lasciando così aperta una porta.
Di tutt’altro avviso è Fabio Repici, legale della famiglia Agostino, secondo cui il delitto dei due coniugi «è nella storia giudiziaria italiana probabilmente il primo per il quale si sia raggiunta prova certa che esso è stato ideato, organizzato, eseguito e, una volta commesso, depistato in cooperazione fra Cosa nostra e apparati deviati dello Stato», si legge nell’opposizione alla richiesta di archiviazione. Due sarebbero i «vizi logici e strutturali», secondo il legale, che contraddistinguono la richiesta avanzata dai pm: innanzitutto, la «parzialità dell’analisi del materiale indiziario» che prende in considerazione solo le dichiarazioni di Lo Forte e Galatolo, trascurando quelle di tutti gli altri pentiti, da Oreste Pagano a Giovanni Brusca, da Angelo Fontana a Consolato Villani.
E, ancora, la «valutazione cumulativa, generica e indistinta della posizione dei tre indagati», senza cioè tener conto della diversificazione delle fonti indiziarie nei loro confronti. Per non parlare del fatto che Scotto e Madonia erano già stati indagati per il duplice omicidio prima ancora delle dichiarazioni rese da Lo Forte, motivo che giustificherebbe, secondo Repici, una loro imputazione coatta da parte della gip. A detta dell’avvocato, quindi, ci sarebbero tutti i presupposti per andare avanti con le indagini, a cominciare dalla possibilità di ascoltare la versione dei colleghi che hanno condiviso i turni di servizio con Agostino il 20 e 21 giugno, finora mai interrogati.