«L'ho saputo da Leoluca Bagarella che dovevamo votare Berlusconi». È una delle dichiarazioni che il collaboratore di giustizia Pasquale Di Filippo ha reso questa mattina nel corso della sua deposizione al processo bis per la strage di Capaci. «Abbiamo aiutato anche il partito Radicale e i socialisti con Martelli»
Caltanissetta, l’appoggio di Cosa nostra a Forza Italia Il pentito: «Votammo Berlusconi perché ci doveva aiutare»
«Fino al ’95 in Sicilia non c’era un partito che vinceva se non era in società con Cosa nostra. Cosa nostra ha sempre convissuto con la politica». A rivelarlo, secondo l’agenzia giornalistica Agi, è il collaboratore di giustizia Pasquale Di Filippo, nel corso della sua deposizione in video conferenza al processo bis per la strage di Capaci, in corso a Caltanissetta. Anche Di Filippo, secondo quanto riportato, sostiene la versione secondo la quale la mafia avrebbe appoggiato Forza Italia nel corso delle elezioni: «Abbiamo votato Berlusconi – dichiara il pentito – con l’impegno che ci doveva aiutare perché, dopo le stragi di Falcone e Borsellino, molti mafiosi furono trasferiti nelle carceri di Pianosa e dell’Asinara, dove erano detenuti al carcere duro».
A dare l’indicazione politica a Pasquale Di Filippo sarebbe stato il killer corleonese Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina. «L’ho saputo da Leoluca Bagarella che dovevamo votare Berlusconi. Dopo la sua elezione, Berlusconi però non fece nulla per aiutarci». «Ne parlai con Bagarella – prosegue Di Filippo – e lui, in dialetto siciliano, mi rispose: “Lascialo stare, mischinazzo, lui adesso non può fare niente. Quando potrà fare qualcosa la farà”. Bagarella diceva di dargli tempo. Per ora ci sono altri soggetti politici che lo guardano e quindi non si può muovere, disse Bagarella». Secondo Di Filippo, comunque, la mafia non ha aiutato solo Forza Italia, ma anche altre forze politiche: «Sono stato incaricato – dice – di dare soldi al partito Radicale, cosa che ho fatto. Successivamente abbiamo aiutato i socialisti con Martelli e poi per l’appunto Berlusconi. I nostri capi ci dicevano a chi votare. Già nel ’95 – rivendica poi il collaborante – non ho avuto paura a fare il nome di Berlusconi. E non ne ho neanche ora».