Dei quasi 600 dipendenti dell'azienda di contrada Tre fontane molti hanno cominciato a mollare la presa della vertenza sindacale. Troppo costosa da sostenere, mentre si attendono almeno quattro mesi di stipendio in arretrato. Con le dimissioni per giusta causa, invece, si ha accesso all'assegno di disoccupazione
Call center Qè, flash mob di protesta dei lavoratori «Meglio dimettersi per avere ammortizzatori sociali»
«Sono tanti i colleghi che stanno iniziando a mollare e non riescono ad andare avanti. Molti hanno dato le dimissioni per giusta causa, o stanno per farlo: in questo modo potranno fare ricorso agli ammortizzatori sociali come prevede la normativa vigente». A denunciare il crescente malcontento tra i lavoratori del call center Qè, da quattro mesi senza stipendio, è Valentina Borzì, responsabile sindacale della Cgil. L’azienda è a tutti gli effetti in agonia, gravata da milioni di euro di debiti e sull’orlo del fallimento. Questa mattina, per tenere alta l’attenzione sulla crisi occupazionale, una settantina di lavoratori si sono ritrovati in piazza Umberto, a Paternò, per dare vita a un flash mob a base di lettere e cartelli.
Da settimane si susseguono tavoli tecnici in prefettura, alla Regione Siciliana o a Roma, anche alla presenza dei rappresentanti delle commissioni competenti al Senato e alla Camera dei deputati. Ma fino ad adesso non c’è stato nulla di concreto. Nel frattempo cresce la disperazione dei lavoratori: «Attualmente i dipendenti assunti a tempo indeterminato e che hanno dato le dimissioni per giusta causa sono 24 – specifica Valentina Borzì – mentre tra i collaboratori a progetto abbiamo avuto delle vere e proprie dimissioni di massa. Sono circa 120 i lavoratori che hanno lasciato l’azienda. Tra i dipendenti ci sono stati coloro che hanno preferito andare per cercare lavoro altrove oppure coloro che non sono materialmente in grado di sostenere una vertenza cosi lunga».
Per ricordare il disagio dei giovani lavoratori ai cittadini, i dipendenti si sono attaccati dei cartelli con delle lettere addosso. Per comporre l’hashtag #siamotuttiQè e per formulare la richiesta dell’apertura di un tavolo tecnico alla Regione. «Il nostro obiettivo è quello di chiedere alla istituzioni di mantenere gli impegni presi – sostiene Anna Orifici, della Fistel Cisl – Perché questo silenzio, che per noi lavoratori è diventato assordante, non è tollerabile. Le amministrazioni pubbliche che non danno seguito alle loro promesse si rendono complici di un torto subito da 600 lavoratori».
Il riferimento è alla Regione Siciliana che, nonostante una comunicazione inviata al sindaco paternese Mauro Mangano, «non ha ancora convocato ufficialmente il tavolo tecnico alla Regione», precisa Valentina Borzì. In sostanza era stata annunciata la convocazione di una riunione alla quale erano stati invitati, oltre alle istituzioni locali, anche il rappresentante del gruppo Di Bella, proprietario del capannone di contrada Tre Fontane dove aveva sede l’azienda di Manerbio: il gruppo industriale, con le giuste garanzie, potrebbe essere coinvolto in un salvataggio del Qè. Franz Di Bella aveva ribadito che «da parte della nostra azienda c’è la piena disponibilità ad ascoltare le proposte che ci verranno sottoposte dall’assessorato al ramo. Vogliamo capire se ci sono le condizioni per un nostro intervento». Per il 26 ottobre, nel frattempo, i lavoratori del Qè, in sinergia con i sindacati, stanno organizzando un sit-in di protesta davanti alla sede governo della Regione.