Calcio Catania, il bilancio del 2014  Cronaca di un anno da dimenticare

A Capodanno, uso popolare vuole che la roba vecchia voli via dalla finestra. È il modo, certo estremo, per allontanare i brutti ricordi e far spazio alle novità augurate per il nuovo anno. Nelle case dei tifosi del Catania, la notte del 31, nessun imbarazzo della scelta su cosa tenere e cosa buttare. Il 2014 è stato un anno da impacchettare per intero e rispedire a Babbo Natale con richiesta di cambio e risarcimento danni. I peggiori 365 giorni degli ultimi 28 anni: iniziati in serie A, continuati in serie B, terminati in piena zona retrocessione verso la C.

Cacciato Sergio Gasparin (ex direttore generale) brandendo l’intenzione di migliorare l’ottavo posto in serie A raggiunto nel 2013, passato sotto il comando unico del presidente Antonino Pulvirenti, il Catania s’affacciò al 2014 dal piano terra, ultimo in classifica,ma ancora pieno d’ottimismo. Tante le ragioni: la carica dello slogan #crediAmoci, le possibilità aperte dal calciomercato, le aspettative legate al nuovo tecnico, la speranza di recuperare i troppi infortunati, la fiducia al presidente degli otto anni di serie A. Ma appena giunto febbraio, di ragioni per mantenere l’ottimismo non ve n’era più alcuna: tifosi in contestazione, l’attaccante aspettato mai arrivato, De Canio esonerato, crisi-infortuni peggiorata, popolarità di Pulvirenti ai minimi storici.

La vittoria sull’amica Lazio, primo successo dal ritorno di Maran in panchina, fu la terza illusione della possibile svolta prevista dal club, augurata dai tifosi e mai veramente arrivata. La realtà dei fatti strideva con la convinzione, ribadita dalla voce del club, di avere di fronte una squadra competitiva, il cui unico freno era stato rappresentato dai tanti, troppi infortunati. Ma il nervosismo di Leto, gli appelli all’unità di Izco, la rescissione di Freire, lo scarso rendimento del figliol prodigo Lodi, l’impalpabile apporto di Fedato, gli infortuni regolari di Almiron, la rimonta subita nello scontro salvezza di Sassuolo, con cui s’inaugura aprile: sono l’espressione sportiva degli errori di programmazione e conduzione del club, da cui spariscono uno dopo l’altro Bonanno (direttore tecnico), Russo (team manager), Maran (allenatore) e Pulvirenti stesso.

Ad emergere è la figura di Pablo Cosentino. Già vicepresidente, l’ex procuratore argentino viene incaricato nuovo amministratore delegato con poteri da direttore generale plenipotenziario, alla Lo Monaco. Nominare allenatore Pellegrino, già addentro al settore giovanile, è la sua prima mossa. Mancano sei giornate alla fine del torneo e quattro sorprendenti vittorie non basteranno a evitare la B. A mezz’ora dall’avvenuta retrocessione, col pubblico fuori dal Massimino che ne contesta l’operato, Cosentino conferma la panchina di Pellegrino davanti alle telecamere.

Tornare subito in serie A è l’obiettivo dichiarato ma il lavoro del nuovo amministratore delegato è funzionale, sin da maggio, al progetto Europa in quattro anni: prolungato il contratto a Leto e Capuano, ingaggiato Chrapek, stretta la mano alla Gea di Moggi, convinto il luminare della preparazione atletica, tale professore Giampiero Ventrone, a lavorare a Catania per risolvere il problema condizione atletica ed infortuni (che l’onesto prof. Petralia, voluto da Pellegrino, nelle ultime sei giornate aveva però già risolto). Tra giugno e luglio, la corazzata Catania, così come progettata da Cosentino, è pronta a fare tremare il primato di B stabilito dal Palermo la stagione passata. La stampa concorda.

Rimasti Castro, Peruzzi e Monzon. Arrivati Rosina, Calello e Calaiò. Tornati Martinho, Cani e Rinaudo. Sono però andati via Plasil, Lodi, Izco, Bergessio. I giovani sono tanti ma davvero troppi nel reparto più delicato, che necessiterebbe di maggiore esperienza anche nelle seconde linee: il centrocampo. Imprevisto: neanche inizia il campionato che Almiron prima, Rinaudo poi e infine persino Callelo, cadono infortunati. Da agosto Pellegrino deve vincere il campionato con Chrapek (22enne), Jankovic (19enne), Garufi (19enne) ed Escalante (21enne). Finisce esonerato ai primi di settembre, dopo sole tre giornate ed un punto racimolato.

L’uomo giusto per il Catania, dice Cosentino, è Sannino. Che, come il fu De Canio, arriva dall’Inghilterra e che conterà, in infermeria, persino più giocatori infortunati di quelli lasciati nell’abaco dal suo antenato. Con 25 infortuni muscolari in elenco, i metodi usati da Ventrone finiscono sotto accusa, ma Cosentino li difende oltre ogni ragionevole dubbio. In mezzo ci finisce Sannino. L’allenatore, che non vuol parlare di infortunati, che vorrebbe aprire le porte di Torre del grifo al pubblico, che vorrebbe Ventrone davanti le telecamere, che non vuole sentire parlare di serie A almeno fin dopo il mercato di gennaio, deve: schierare Capuano regista, mandare giovani calciatori allo sbaraglio, inventare un nuovo ruolo per tutti gli altri, inseguire e minacciare Leto dopo avere ricevuto – col mancato saluto alla sostituzione – lo stesso trattamento di Pellegrino, rimproverare a scena aperta Ventrone davanti all’intero Massimino.

Dura così tutto ottobre e novembre. Quando a dicembre, a Livorno,è costretto a sostituire tre giocatori su tre per infortunio, e la squadra, senza forze, passa dall’1-2 al 4-2 in 20 minuti, Sannino sbotta. Coi play-off ancora a portata di mano ma i play-out più vicino, chiede un passo indietro alla società a proposito del preparatore. La società invece sfiducia lui e ne ottiene le dimissioni a ventiquattro ore dalla prima di tre partite nel giro d’una settimana. Dimissioni accettate, ma di tutti gli allenatori cercati nessuno dice sì. In città esplode la protesta. I tifosi decidono di non entrare più al Massimino. Non li placano nemmeno le promesse, già ascoltate il dicembre scorso, circa la campagna di rafforzamento. La panchina, per le ultime tre giornate finisce a Maurizio Pellegrino, con cui il Catania otterrà tanti punti quanti quelli ottenuti nelle prime tre e valsi l’esonero (non ancora arrivato) ma ben quattro espulsi sugli 11 totali.

Il Catania, che avrebbe dovuto dominare il campionato, chiude il 2014 sconfitto dalla vera capolista, il Carpi, con meno di tremila tifosi allo stadio, peraltro dileggiati dal «Forza Palermo» del bomber ospite, Mbakogu. Gli emiliani in classifica sommano 43 punti: più del doppio di quelli rossazzurri, terzultimi alla pari col Crotone, in piena zona retrocessione diretta. Fuori dallo stadio restano quasi tutti e diecimila gli abbonati (di cui la società era orgogliosa ad inizio stagione), in 300 restano anche sotto la pioggia a chiedere le dimissioni di Cosentino, la cacciata di Ventrone e Moggi o persino che Pulvirenti passi la mano. Così, mentre i giocatori vanno in vacanza, a Capodanno, i tifosi aprono la finestra per buttare via questo 2014, ma la trovano murata. Come il Catania, in silenzio stampa, dentro Torre del Grifo: incapace di buttare via quel che non ha funzionato.

Buon 2015? L’augurio sa di presa in giro più del «Forza Palermo» di Mbakogu. 


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