«Mi sono svegliato alle 6 per conoscere i risultati, per chi fa impresa come me bisognerà rivedere il business», racconta Gaetano Bauso, che gestisce il bar Etna Coffee. «Ha vinto la paura più forte. Nessuno ha dato messaggi positivi», aggiunge un ricercatore a Edimburgo. Tra timori e dubbi
Brexit, le reazioni dei siciliani tra paura e delusione «Come quando capisci di aver amato uno stronzo»
La Brexit è il tema del giorno. Annunciata, temuta, combattuta: l’uscita della Gran Bretagna dalle istituzioni europee da oggi è realtà. Tantissimi sono i siciliani che vivono nel Regno Unito. «Mi sono svegliato alle 6 del mattino per conoscere i risultati», racconta Gaetano Bauso, imprenditore catanese che a Londra gestisce il bar di sicilian street food Etna Coffee. «Che si fosse sul filo si sapeva. Io avrei preferito rimanere, anche perché i messaggi della campagna remain erano rivolti a un’idea moderna del mondo».
A Londra da qualche anno vive anche Maria Cidonelli, che lavora come comunicatrice digitale per una realtà non profit. «Anche io sarei rimasta, sono un’europeista convinta – dice -. Nonostante l’UE non funzioni come dovrebbe, non mi pare che i governi nazionali siano stati migliori». Poi preferisce sorriderci su. «Ho sempre preferito la capitale inglese perché l’ho sentita più welcoming nei confronti degli stranieri. Ora mi sento una teenager che si rende conto di aver amato uno stronzo che ha idealizzato».
Dello stesso parere Sandro Rinnone, chef niscemese trasferitosi in Inghilterra da quattro anni. «La campagna per l’uscita dall’Ue è stata basata essenzialmente su due punti: immigrazione e bad economy. Non è inusuale sentire espressioni tipo “gli stranieri ci rubano il lavoro” o “i soldi che Bruxelles pretende dall’Inghilterra si potrebbero spendere diversamente, per ospedali e scuole”. Fattori del tutto falsi che sanno di razzismo». Nonostante le polemiche dei mesi scorsi, Sandro ci tiene a precisare come gli italiani in Inghilterra «siano più fortunati rispetto ad altri immigrati, per migliaia di motivazioni, soprattutto culturali ed artistiche, diciamo storiche in generale».
Limitarsi alla Londra multietnica che ha da poco eletto il primo sindaco musulmano rischia di essere fuorviante. Anche Gabriella Sentina, che lavora per FCC Recycling centre a Norwich, sottolinea la diefferenza. «Nelle piccole cittadine lo straniero è visto come una minaccia – nota – Norwich è abbastanza grande, ma se comparata a Londra rimane pure sempre una piccola realtà». All’università di St. Andrews, la più antica accademia scozzese a due passi da Edimburgo, dove la gran parte ha votato remain, lavora come ricercatore Paolo Pagano. «Mi sembra tutto troppo brutto per essere vero – esordisce -. La retorica anti-immigrati era molto forte, simile a quella che c’è in Italia. Qui gli immigranti producono più Pil di quel che consumano, ma gli inglesi hanno preferito non tenerne conto. Ma un conto è la percezione, un conto la sostanza». Anche Pagano tifava per il remain, anche lui è rimasto scosso dalla vittoria del leave. Il ricercatore in trasferta se la prende però con entrambe le campagne. «Ha vinto la paura più forte – osserva -. Nessuno ha dato messaggi positivi, si pensava solo a screditare l’altrui posizione. Da una parte la campagna per restare si fondava sulla paura del disastro, dall’altra quella per lasciare si fondava sulla paura della globalizzazione».
Gli scenari che adesso si aprono per il futuro dell’Europa e della Gran Bretagna sono ancora in parte un’incognita. E chi vive nel Regno Unito dovrà tenerne conto. «Come previsto dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona, per due anni qui dovranno sottostare alle leggi dell’Ue – analizza Maria Cidonelli -. Ma temo che il crollo finanziario arriverà prima, basti vedere che già oggi la sterlina ha perso molto sull’euro. Se la sterlina ha meno potere d’acquisto, l’inflazione ovviamente aumenta e tutte le Ong che sono qui dovranno spostarsi se vogliono continuare a trattare con le istituzioni europee».
La vede allo stesso modo anche Gaetano Bauso che guarda alle conseguenze della propria attività. «Per chi fa impresa come me bisognerà rivedere il business – commenta -. Se si ritorna a 45 anni fa ciò vuol dire che sarà impedita la libera circolazione delle merce e delle persone provenienti dalle Ue. Quindi: ritorno dei dazi doganali, del passaporto, del visto. E potrebbe aumentare pure la tassazione, perché senza gli aiuti dell’Ue da qualche parte il governo nazionale dovrà prenderli i soldi». A cominciare dal settore della ricerca universitaria, dove il Regno Unito, in termini di finanziamenti, riceve dall’Ue più di quanto dà al fondo europeo. Tutti aspetti da chiarire nei prossimi due anni anche se il premier dimissionario Cameron ha provato a rassicurare, sostenendo che non ci saranno cambiamenti per quanto riguarda il movimento delle persone e delle merci.