La conversazione, avuta con la moglie durante un colloquio in carcere nell’aprile dell’anno scorso, è stata depositata questa mattina dal pm Nino Di Matteo al processo trattativa. Secondo lui dimostrerebbe «la genuinità sull’inconsapevolezza di Graviano di essere intercettato»
Boss Graviano, figlio forse concepito dentro la cella Intercettato dice: «Certo non potevo dirgli la verità»
«Certo non potevo dirgli la verità». A parlare è ancora il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, detenuto in regime di 41 bis dall’arresto nel 1994, durante un colloquio con la moglie. È il 23 aprile 2016 quando le spiega di aver mentito agli inquirenti: «Ho detto loro che il mio rapporto sessuale risaliva a quando ero ancora latitante, di certo non potevo dirgli la verità», insiste. Un’intercettazione significativa che ha portato il sostituto procuratore Nino Di Matteo a depositarla questa mattina al processo sulla trattativa Stato-mafia. «Questa conversazione è stata registrata ben dieci giorni prima della notifica dell’informazione di garanzia – ha spiegato Di Matteo alla Corte d’assise – e testimonia, dal nostro punto di vista, la genuinità sull’inconsapevolezza di Graviano di essere intercettato». Non è un caso infatti che anche il vice procuratore Vittorio Teresi solo pochi giorni fa, in occasione di un incontro pubblico alla Feltrinelli di Palermo, aveva parlato di «prove inconfutabili che Graviano non sapesse di essere intercettato».
Frase che confermerebbe i racconti fatti anche al compagno di passeggiata durante l’ora d’aria, il camorrista Umberto Adinolfi, che in più di un’occasione ha raccolto le confidenze di Graviano riguardo alcune visite della moglie e al fatto che lei avesse addirittura dormito con lui. Solo un mese prima del colloquio con la donna, infatti, raccontava al compagno detenuto alcuni dettagli della sua latitanza, l’intenzione iniziale di lasciare la sua donna e l’insistenza di lei per un matrimonio e un figlio. «Bibiana…quanto può durare questa latitanza? Tu hai divertimenti, cose, una vita normale insomma – dice ad Adinolfi – Hai 25 anni, vatti a fare una vita, lasciami, dimenticati di me». In quel momento si trovano insieme su una barca a Sirmione e Graviano viene a conoscenza del mandato di cattura nei suoi confronti per l’omicidio dell’onorevole Salvo Lima.
«Noi due possiamo andare a vivere sotto terra. A me non mi interessa niente, io ci sto bene sotto terra – gli risponde la donna – Basta che noi ci sposiamo e mi dai un giorno un figlio. Non ti chiederò più niente nella vita». Il boss sembra sorpreso e lusingato da questa risposta. Malgrado questo però, si fa prendere dai dubbi e dalle paure. «No lo potevo fare – dice ancora al detenuto – Io non ero proprio sistemato, ero svolazzato, mi sono spiegato?». Le sue perplessità sono soprattutto sul futuro che potrebbe garantire a questo figlio, mai nessuna ombra su come e quando concepirlo invece ma non cede subito alla proposta della donna. Viene arrestato e per i primi mesi di detenzione le impedisce di andarlo a trovare in carcere: «Otto mesi che non l’ho fatta venire a colloquio e non le scrivevo, mia madre si stava buttando dal balcone. Finché le ho scritto “fai le cose che ci sposiamo” – continua la confidenza – Le ho detto che per me poteva organizzare, “però mi devi dare delle date…che io posso muovermi”».