Beni mobili, immobili, cavalli, scuderie e 11 società per un totale di 15 milioni di euro, a fronte di un reddito dichiarato pari a 24mila euro all'anno. E' alla luce di questa enorme sproporzione di ricchezza che il Tribunale ha ordinato il sequestro del patrimonio della famiglia Bosco, accusata di gestire uno dei più grandi giri di usura della città. «Ma le attività di bar e supermecati continueranno ad andare avanti sotto un amministratore giudiziario», assicura il procuratore capo Giovanni Salvi
Bosco, sequestrato patrimonio di 15 milioni Coinvolta anche la pizzeria Fratelli La Bufala
Un patrimonio da 15 milioni di euro e un reddito dichiarato di 24 mila euro all’anno. E’ alla luce dell’enorme sproporzione tra la ricchezza posseduta dalla famiglia Bosco e quanto ufficialmente rendicontato che la Sezione misure di prevenzione del tribunale di Catania ha ordinato il sequestro di 24 beni immobili, 15 tra automobili e motoveicoli e le quote di 11 società. Tra cui quelle che gestiscono i tre supermercati e diversi bar nel capoluogo etneo. Inoltre sono finite sotto amministrazione giudiziaria anche il 50 per cento delle quote della società proprietaria della nota pizzeria Fratelli La Bufala, marchio conosciuto in Italia e nel mondo e che a Catania era gestito dalla famiglia Cuntrò, con legami di stretta parentela con i Bosco. Una precisazione a riguardo viene anche dalla proprietà del marchio Fratelli la Bufala: «Il ristorante al Centro Polifunzionale “Vecchia Dogana” viene gestito, mediante contratto di affiliazione commerciale, dalla società Gusto Giusto srl – afferma una nota dell’amministratore delegato del marchio, Paolo Aruta – ed è soggetto autonomo ed indipendente rispetto alla proprietà del marchio Fratelli La Bufala, del tutto estranea allinchiesta giudiziaria, che ha inoltre formalizzato alla Gusto Giusto S.r.l. la risoluzione del contratto di franchising, contestualmente diffidandola dal proseguire nelluso dei segni distintivi e di quantaltro costituente il sistema di ristorazione Fratelli La Bufala».
Questi provvedimenti completano l’operazione che lo scorso 25 febbraio aveva portato all’arresto di 27 persone – tra cui il capofamiglia Giuseppe Bosco, i figli Mario, Antonino e Salvatore, e i nipoti Giuseppe e Sebastiano – accusate di gestire quello che gli inquirenti hanno definito «uno dei più grandi giri di usura della città», pari a un milione e mezzo di euro e con tassi d’interesse annui del 140 per cento.
«Il sequestro delle quote societarie non pregiudica il proseguimento delle attività commerciali che verranno adesso gestite da un amministratore giudiziario». Il procuratore capo Giovanni Salvi ci tiene subito a precisare che a pagare non saranno i lavoratori. Supermercati e bar continueranno a funzionare. «Anzi, la loro posizione verrà rafforzata grazie a una gestione più legale e trasparente», aggiunge Roberto Manna, colonnello della Guardia di finanza che ha condotto l’operazione. Tra i beni finiti sotto sigillo ci sono anche scuderie e cavalli. Per gli investigatori, che hanno messo sotto esame gli ultimi dieci anni di attività della famiglia Bosco, non è stato semplice individuare i beni aggredibili a causa della dispersione delle quote societarie e per l’intestazione fittizia a terzi di alcuni beni immobili. «Il capofamiglia non ha mai dichiarato più di 20-24 mila euro all’anno di redditto, mentre abbiamo ricostruito un patrimonio di 15 milioni di euro», spiega Manna. «Se i beni sotto sigillo non saranno sufficienti a coprire il danno arrecato, provvederemo a sequestrare ulteriori somme di denaro», conclude Salvi.