Borsellino, Spatuzza e la strage di via D’Amelio «Dissi ai giudici verità su attentato già anni fa»

«Sono colpevole. Ho rubato io la 126 usata per l’attentato e me ne pento». Inizia così la deposizione del pentito Gaspare Spatuzza, sentito in trasferta a Roma dai giudici di Caltanissetta che celebrano il processo sul depistaggio delle indagini per la strage di via d’Amelio, costata la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta. Imputati i funzionari di polizia Bo, Mattei e Ribaudo che, secondo l’accusa, avrebbero costretto tre falsi pentiti a dare una ricostruzione non veritiera dell’attentato. Spatuzza, che con le sue rivelazioni ha consentito ai magistrati di Caltanissetta di riscrivere la storia della fase esecutiva dell’eccidio facendo scagionare otto persone ingiustamente condannate all’ergastolo, ha raccontato di aver portato la macchina, poi usata come autobomba, in un garage.

La 126 venne imbottita di tritolo alla presenza di uno sconosciuto che il collaboratore di giustizia non rivide mai più. Alla domanda del pm Stefano Luciani se sapesse descrivere l’uomo, che sarebbe stato estraneo a Cosa nostra, il pentito ha risposto «ho ricordo di una foto sfocata». Spatuzza ha riferito ai giudici di aver rivelato il clamoroso errore investigativo commesso dagli inquirenti già mentre era detenuto a L’Aquila. «Dissi sia a Vigna che a Grasso (entrambi procuratori nazionali antimafia ndr) che in carcere c’erano innocenti», ha spiegato. A margine dell’udienza, proprio su quest’aspetto, Fiammetta Borsellino, figlia del giudice ucciso e parte civile, ha detto: «Il depistaggio assume una valenza inquietante».


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