Borsellino quater, parla il falso pentito Andriotta «Poliziotti mi dissero cosa dovevo dire»

Punta il dito contro la polizia il falso pentito Francesco Andriotta, imputato per calunnia assieme a Vincenzo Scarantino e Calogero Pulci nel processo Borsellino quater che sta tentando di fare luce sulla strage di via D’Amelio.  Le loro false dichiarazioni hanno portato alla condanna all’ergastolo di 8 innocenti ora in attesa del processo di revisione.

I due funzionari di polizia, Bò e Ricciardi, sempre nell’ambito di questo processo, avrebbero dovuto rispondere sulle attività di indagine condotte in relazione alla strage di via D’amelio e sulle dichiarazioni rese il 28 giugno 2010, sulla genesi delle collaborazioni dei falsi pentiti Andriotta, Scarantino e Candura e su quanto pm e avvocati di parte civile, avessero ritenuto rilevante, ma hanno deciso di non parlare e di avvalersi della facoltà di non rispondere. Secondo l’accusa avrebbero fatto pressione sugli ex pentiti, che hanno dichiarato di essere stati indotti a mentire sulla strage del ’92, a rendere false dichiarazioni sugli organizzatori e sugli esecutori dell’attentato. Sono indagati dai pm di Caltanissetta per il depistaggio delle indagini sulla strage.

«Arnaldo La Barbera mi promise che mi avrebbero tolto l’ergastolo sostituendolo con una pena tra i 17 ed i 18 anni e mi avrebbero fatto entrare nel programma di protezione  – ha detto Andriotta davanti alla Corte D’Assise di Caltanissetta – e che sarei stato trasferito negli Stati Uniti se avessi dichiarato quello che mi diceva di dire sulla strage di via D’Amelio. Quando ero detenuto a Busto Arsizio nel ’93 incontrai lui ed il dottor Ricciardi nell’ufficio del comandante della polizia penitenziaria del carcere. Io dissi che non sapevo nulla, ma lui disse “vogliamo che confermi le certezze che abbiamo noi, che tu metta Scarantino con le spalle al muro in modo che confessi il furto della 126 usata per la strage“». 

Alla sbarra anche i boss di Brancaccio Salvo Madonia e Vittorio Tutino che rispondono di strage. Andriotta fu detenuto insieme a Scarantino nel periodo successivo all’attentato. 

«Inizialmente rifiutai – ha aggiunto Andriotta – ma loro (Arnaldo La Barbera e il funzionario di polizia Vincenzo Ricciardi ndr) dissero che erano sicuri al cento per cento che Scarantino fosse colpevole. Dissero che mi avrebbero dato loro i nomi da fare e poi aggiunsero “torna in carcere e pensaci, ma non pensare troppo perché in carcere si può scivolare e restare a terra”. Ricordo che in un’occasione mi fecero uscire nudo all’aria aperta e mi misero un foulard intorno al collo come un cappio». «Scarantino diceva sempre di essere innocente. Dalla mia cella sentivo che lo pestavano, mi raccontò pure che gli fecero mangiare del cibo con dentro urina e che tra coloro che lo picchiavano c’era pure La Barbera. Alla fine mi feci ammorbidire, ho sbagliato dichiarando delle cose false e chiedo perdono a tutti».

Andriotta ha raccontato che l’ex capo della Mobile di Palermo La Barbera gli fece avere in cella alcuni appunti. «Quelle carte contenevano le dichiarazioni che avrei dovuto fare e cioè che Scarantino mi aveva confidato di essere l’autore del furto della 126, che l’auto non funzionava ed era stata trainata nella carrozzeria Orofino, dove era stata riempita di esplosivo. E che da lì Scarantino l’aveva guidata fino in via D’Amelio. Ho tenuto con me questi appunti fino al 2006, poi li ho buttati via». Poi ha aggiunto: «La Barbera e Mario Bo diedero a me ed alla mia ex moglie delle somme di denaro, in totale 12 milioni di lire e dissero che quei soldi provenivano dal servizio centrale di protezione». 

La Barbera è deceduto, Mario Bo e gli altri due ex funzionari di polizia, Vincenzo Ricciardi e Salvatore La Barbera facevano parte del pool che coordinò l’inchiesta sulla strage, guidato dall’allora questore Arnaldo La Barbera.


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