La Suprema corte ha confermato l'ergastolo per i boss Salvatore madonia e Vittorio Tutino. Dieci a Calogero Pulci, nove e mezzo a Francesco Andriotta. Il procuratore generale Pietro Gaeta: «Una delle pagine più vergognose della nostra storia giudiziaria»
Borsellino quater, la Cassazione conferma le condanne Resta mistero su chi ordinò il depistaggio delle indagini
È arrivata la parola fine per il processo Borsellino quater. Ieri sera la Cassazione ha confermato le condanne già comminate nei confronti dei quattro imputati, in occasione del giudizio di secondo grado. La Suprema corte ha condannato all’ergastolo i capimafia Salvatore Madonia e Vittorio Tutino, mentre per Calogero Pulci e Francesco Andriotta, entrambi accusati di calunnia e di essere stati coinvolti nel depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio, la corte ha disposto pene rispettivamente a dieci anni e nove anni e sei mesi.
Si è chiuso così il quarto capitolo giudiziario di una delle vicende più oscure della storia italiana. A oggi, infatti, non è ancora chiara quale sia stata la catena di comando che abbia ordinato l’inquinamento delle attività delle procure, con la creazione dei falsi pentiti, su tutti Vincenzo Scarantino. «Secondo me è una delle pagine più vergognose e tragiche della nostra storia giudiziaria e di una gravità tale da escludere qualunque circostanza attenuante», ha detto procuratore generale della Cassazione, Pietro Gaeta, nel corso della requisitoria.
«Giunge a conclusione un processo costato a Sergio Lari, Stefano Luciani, Gabriele Paci e me tanta fatica, tanto lavoro, oltre che la perdita di simpatie in tante categorie responsabili di quello che il Pg della Cassazione ha definito una mostruosità. Per usare le parole di Sergio Lari, il più grave depistaggio della storia d’Italia», ha detto il sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia, Nico Gozzo.r
Nella strage del 19 luglio 1992 morirono il magistrato Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina. Unico superstite il poliziotto Antonio Vullo.