Sabato 19 day eight
Salto la proiezione del film, Salvatore Giuliano, perché ieri sera (stamattina) ho fatto tardi (o presto, dipende dai punti di vista). Però faccio in tempo per la lezione di Francesco Rosi, che ci parla di cinema e mafia, di mafia e politica, delle piccole e grandi avventure che un regista deve affrontare se decide di raccontare la verità, quando la verità si fa scomoda per qualcuno.
A pranzo con i nostri amici parliamo di noi. Desideri passati, presenti e futuri; progetti da realizzare; insieme?, perché no. Loccasione che ci ha portati tutti qui sta per venire a mancare. Ancora un giorno e poi il sogno se ne andrà come è venuto. Ma non ci pensiamo. Prendiamo istante per istante quello che il destino ci riserva.
In ufficio ci comunicano che stasera ci sarà un lavoro importante da fare, che bisognerà accompagnare i vincitori dei Nastri dargento dal terrazzo del cinquestelle al palco del teatro. Cè la nostra collega addetta allaccoglienza ospiti, ma le servono rinforzi. Si rivolge a me e ad altre due ragazze. Noi non ci tiriamo indietro. Perciò nel primo pomeriggio seguiamo il direttore artistico e una delle assistenti sul luogo dove avverrà il misfatto, per i dettagli: imparare il percorso da far fare ai premiati e ricevere tutte le direttive in caso di emergenza. Riceviamo una copia ciascuno della scaletta. Basta leggere i primi nomi per sentire un piccolo brivido sulla schiena.
Tenetevi pronte per le sette. Agli ordini.
Alle sette o giù di lì siamo di nuovo al cinquestelle. La scala che ci è stata indicata per raggiungere il terrazzo vip (lOlimpo, come lo definirà un nostro collega) è bloccata da due tizi in smoking, auricolare allorecchio, che puntualmente ci impediscono di salire. Sono le stagiste, devono darci una mano con gli ospiti, annuncia loro lassistente-capa. I due si limitano ad accennare un Daccordo con lo sguardo e ci liberano il passaggio.
Le scale sono coperte da un tappeto, e una volta salite tutte ci ritroviamo in un corridoio che risplende di marmi e specchi. Alla fine del corridoio, una porta. Oltre la porta, lOlimpo.
È imbarazzante, trovarsi lì. Ci sono volti noti ovunque, e anche quelli meno noti ti incutono una specie di rispetto-soggezione che si attenua solo quando imbocchiamo la seconda scaletta, che porta ad un terrazzino superiore, dal quale la vista (il mare e le scie di due barche, il vulcano dai contorni nitidi, le luci che si accendono una ad una) è ancora più bella. Ci sistemiamo lì. Qualche minuto dopo di noi, Mr. Michael Douglas raggiungerà la nostra postazione per essere intervistato da una donna che non ho mai visto. Alle nove comincia la diretta. Pronte?
Respiro profondo.
Pronte.
Douglas è il primo. La collega che lo accompagna è parecchio emozionata, ma va tutto bene. Sorge un problema: il monitor sul terrazzino, dal quale dovremmo seguire quello che accade sul palco per sapere quando accompagnare i premiati, non funziona. Proviamo a metterci in contatto con la regia tramite due walkie-talkie. Ma niente da fare. Morti anche quelli.
E adesso?
A salvare la situazione, il figlio sedicenne di una premiatrice e il suo amico, muniti di cellulare, si collocano uno sotto il palco e laltro accanto a noi. È lunico modo per comunicare col teatro.
Non cè perfetta sincronia (alcuni ospiti devono aspettare più del previsto sotto il palco, prima di essere chiamati), ma fatta eccezione per noi accompagnatori e per gli accompagnati- non se ne accorge nessuno.
A premiazione terminata, ricomponiamo il gruppo stagisti-&-co. e andiamo a fare una passeggiata, tutti insieme.
La sensazione è quella che si prova dopo un buon lavoro di squadra, quando si tirano le somme e il risultato è migliore di quello che ci si aspettava.
Il sipario cala anche su questa serata.
Cè una sveglia, da qualche parte, che presto interromperà per sempre questo sogno. Per quellora noi saremo altrove, saremo di nuovo ognuno sulla sua strada. Ma con qualcosa in più nel cuore e nella mente.
Saremo ancora noi, ma con in più tanti ricordi su cui tornare, su cui piangere e sorridere. Con in bocca il sapore dolce e amaro di un sogno che finisce.
Al prossimo Festival?
Venerdì 18 – day seven
A lezione di cinema da Perpignani, Jost, Sider e Himelsbach conosciamo gente nuova. E’ questo il bello. Si pranza insieme.
Che la passione per il cinema ci accomuna proprio in tanti già lo sapevamo, ma ne abbiamo conferma. Veniamo da tutte le parti del mondo, siamo cinquantenni e ventenni e anziani e adolescenti, siamo studenti e insegnanti, esperti e principianti. Ma tutti (nessuno escluso) dei grandi sognatori. Ed è in posti come questo che i sogni si materializzano davanti ai nostri occhi, che sembrano così vicini da poterli afferrare.
Nel pomeriggio riusciamo quasi tutti a seguire i corti siciliani, uno dopo l’altro. Subito dopo guardiamo “L’impero dei sensi”.
Le ultime proiezioni, poi le giurie voteranno.
La parte più interessante della giornata è l’aperitivo, anche oggi. Parliamo un pò con Jane Campion, prima che i nostri colleghi la intervistino. Il suo compagno inizia un’interessante discussione sulle mie lenti a contatto.
Ritroviamo i nostri nuovi amici. Si va al teatro tutti insieme?
Anteprima di “Starsky & Hutch”, tonight. Il film è divertente, perciò restiamo fino alla fine. Alla fine, il nostro solito trancio di pizza, quattro chiacchere e un bicchierino.
Si fa tardi, ma stiamo bene, insieme.
Giovedì 17 – day six
“Contrordine: Weir e signora se la prendono comoda, l’aereo è alle dieci e cinquanta, ti basta essere lì alle nove”. Meglio così, penso. Faccio di tutto per essere pronta alle otto, però. E menomale: alle otto e venticinque trovo la macchina pronta e l’autista che carica i bagagli.
Presentazioni e si parte. Il cielo promette pioggia. Cerco disperatamente qualcosa di intelligente da dire al mio regista preferito, ma è un’impresa. Per fortuna è lui a cominciare la conversazione, sua moglie (amichevole almeno quanto lui) lo affianca, parliamo dei film proiettati, della sua professione, di sogni, aspettative, speranze, Australia, Sicilia, cartine geografiche.
Facciamo due passi insieme aspettando che sia ora -per loro- di imbarcarsi. Mi augurano buona fortuna per il futuro. Li vedo attraversare il gate. Un ultimo saluto con la mano.
A riportarmi con i piedi per terra è un problema pratico: come si torna a Taormina? Questo l’organizzazione non l’ha calcolato. Intravedo agli arrivi un tizio col cartello del festival. “Sta aspettando qualcuno?”, gli chiedo. Risponde di sì. “Non è che per caso potrebbe darmi un passaggio a Taormina? Sono dello staff, ho appena accompagnato un ospite e ho il problema del ritorno”. Assolutamente no, replica. Vabè.
Colpo di fortuna, scorgo lo stesso autista dell’andata che aspetta un altro ospite. Chiedo un passaggio a lui, risponde che non c’è problema.
In macchina abbiamo Erik Clausen e Sonja Richter, regista e attrice protagonista di un film in concorso. Ma loro, che il loro film è in competizione non lo sanno, scopro. “Ce l’avrebbero fatto sapere, altrimenti”. Possibile? Possibile.
Li lasciamo in albergo e l’autista è così gentile da accompagnarmi direttamente al palazzo dei congressi.
C’è del lavoro da fare? Si, ma niente di Faticoso.
Dal balconcino dell’ufficio si sente il rumore della pioggia. Comincia a farsi strada l’idea di trasferire la premiazione e il film di stasera al palazzo.
La pioggia smette, poi ricomincia. Smette di nuovo, ma meglio non rischiare. In “tenuta da emergenza” ci sediamo attorno ad una scrivania e diamo una mano a trasferire la cerimonia.
L’aperitivo al cinquestelle riescono a farlo comunque in terrazzo. Qualche problema di pass per i nostri colleghi che non ce l’hanno, ma risolviamo senza fatica.
Anche stasera un trancio di pizza. Ce lo portiamo in sala. Premio a Mira Sorvino, presentazione del film “Miracolo a Palermo” da parte di regista e attori protagonisti, poi proiezione.
Sulla strada “di casa” pioviggina un pò, ma è una sensazione che non dispiace.
Nuovi arrivi, in ostello. Si chiacchera fino a tardi. La pioggia è scomparsa, ma si è alzato il vento.
Mercoledì 16 – day five
Il sole sorge. Anche oggi. La sveglia suona puntuale.
A lezione dal grande irreprensibile Peter Weir, oggi. Ce la perdiamo? Certo che no. E ne vale la pena. Peter ci insegna che il cinema è un sentimento, che un film è un’emozione, che le grandi idee smuovono le montagne e che il destino riesce a far fare scintille alla tua vita, quando gli gira.
L’uomo dei panini già ci ama, e noi lo ricambiamo appassionatamente, specie a certe ore della giornata. Primavera, Semplice, Insolito, Cartoccio. Da portare via? No, li mangiamo qui.
Alla base (fine pausa pranzo) hanno bisogno di braccia forti che vadano in magazzino, recuperino una quarantina di foulards da consegnare alle “signore che contano” (con relative simpaticissime scatole contenitrici) e le portino in ufficio. Una volta in ufficio, le stesse braccia forti -le loro mani, più che altro- avranno il piacere e l’onore di scrivere il nome delle destinatarie e degli albergucci dove alloggiano per poi consegnarle con tanto tanto amore ai fattorini. A dei fattorini veri, stavolta. L’operazione ci prende praticamente tutto il pomeriggio.
A cambiarsi di corsa, che Cinquestelle ci vuole “elegantini”.
All’ingresso “capo-British” è seduta in poltrona. Aspetta qualcuno. “Domani mattina ci sarebbe Peter Weir da accompagnare all’aereoporto” annuncia, col suo perfetto accento da americana in Italia. “Vado io” replico. “Bisognerà andare presto, però”. “Non c’è problema” ribatto senza pensarci due volte. Per Peter, questo e altro. Intanto Jane Campion attraversa il portone d’ingresso e si dirige verso di noi. Ecco chi aspettava British… Molto gentilmente, la capa ci presenta. Le stringiamo la mano, scambiamo un paio di battute, foto di rito per chi la vuole, poi in terrazza, in cerca di cibo.
Pistacchi, mandorle e capperi, ormai conosco a memoria le posizioni esatte. C’è Luigi Lo Cascio, dicono. Il nostro amico fotografo (in teoria, fotografo per caso in pratica) individua anche oggi una potenziale celebrità della quale -manco a dirlo- non conosce il nome. “Ragazze, sapete mica chi è quella? Boh, io intanto la fotografo…”. Assieme a lui c’è un’altra recente conoscenza che abbiamo fatto: l’aspirante sceneggiatrice che, come noi, è sempre pronta a individuare il primo cameriere fornito di vassoio nel raggio di pochi centimetri.
Si va a teatro? D’accordo. “Polish-la-presentatora” stasera è vestita di verde. Lo Cascio premiatore, la Von Trotta premiata. Il film è “Soundless”, ma vado via presto, da sola perchè domani devo svegliarmi un pò prima degli altri.
Il cielo è particolarmente bello, stasera. Passeggiare in solitudine ha un nonsoché di magico…
Martedì 15 – Day four
Svegliarsi è sempre più difficile. Con un occhio aperto e uno chiuso, in ritardo di un buon quarto d’ora (accademico?) raggiungiamo la seconda lezione di cinema. La parte più bella è il film, “Rosenstrasse”, che a parte il fatto che è in tedesco (lingua che risulta un tantino indigesta a chi – come la maggior parte di noi – non la conosce, specialmente alle nove del mattino: evviva i sottotitoli!), è davvero bello.
Per pranzo scopriamo un posto nuovo. “Qua i panini costano meno, dicono”. Constatiamo che è solo una leggenda metropolitana.
Di nuovo alla base. Uno dei capi ci viene incontro: “Ho bisogno di voi. In blocco. Dovreste venire a fare il pubblico di un film, perchè non c’è nessuno. Giusto all’inizio, fino a quando si spengono le luci. Mi raccomando, non tutti nella stessa zona, sparpagliatevi”. Perciò scendiamo in sala.
Sarà il film, sarà il sonno arretrato, fatto sta che mantenere la concentrazione risulta difficile a tutti. Preferisco risalire in ufficio. Il grande compito di oggi sarà aspettare che da TaoArte arrivino dei cartoncini su cui incollare la scritta “riservato”.
I nostri colleghi, nel frattempo, lista alla mano chiamano al telefono uno per uno i membri della giuria popolare. “Lei finora ha visto tutti i film? No? Allora,mi dispiace, è fuori”.
Il desiderio della giornata, tornare in ostello a fare una doccia veloce, si realizza intorno alle sette. Dopodiché di nuovo al cinquestelle, nella speranza di riuscire a mangiare qualcosa. Stasera nessun personaggio da urlo. Anche gli stuzzichini lasciano a desiderare (oltre a lasciarci affamati più di prima). In compenso, la nostra amicizia con i camerieri si fa sempre più intensa.
Dalla serata la teatro greco fuggiamo tutti prima del previsto. Gran finale, passeggiata notturna con annesso succo di frutta.
La notte, qui a Taormina, arriva in punta di piedi…
Lunedì 14 – Day three
Al via le lezioni di cinema, ma ho parecchio sonno arretrato, perciò me la prendo più comoda del previsto. L’ostello è a dir poco pittoresco: a colazione solo latte o té o caffé, il bagno è unico per tutte le donne (la doccia è nello stanzino del gabinetto, perciò ci vuole una buona dose di tempismo), entro le nove e mezza bisogna sgomberare perchè c’è chi fa le pulizie.
Arriviamo (io e la mia “coinquilina”) al “nostro posto” intorno alle dieci e mezza, parecchio preoccupate del ritardo, ma ci rendiamo presto conto che la situazione è molto (ma molto) tranquilla. Qualcuno è al computer a stampare lettere o fax da inviare, qualcun altro continua il lavoro di consegne, gli altri sonnecchiano o gironzolano in terrazzo.
Dopo un’ora di non-proprio-dolce far niente ci viene un’idea: perchè non farci un giretto nell’incantevole Taormina? Tanto se hanno bisogno di noi, ci chiamano.
Detto fatto, cominciamo ad assumere le sembianze delle perfette turiste. Macchina fotografica alla mano, cappellino in testa, passeggiamo allegramente fino all’ora di pranzo. Tornate alla base, ci comunicano che da stasera avremo a che fare con i party pre-serali in albergo, “Date un’occhiata agli ospiti, se riuscite mangiate qualcosa e se si fa tardi cominciate a indirizzare tutti verso il teatro greco. L’unica cosa è che dovreste mettere qualcosa di elegantino”.
“Elegantino” non è l’aggettivo più adatto per descrivere le nostre duper magliette e jeans che abbiamo addosso da tutta la giornata. Passiamo all’ostello a cambiarci? Vabè.
La doccia è occupata. “Puoi usare quella dei ragazzi”. Vada per la doccia dei ragazzi. In tempo record sistemare i capelli, un pò di trucco e via.
Le piccole fiammiferaie (io ed altre quattro ragazze della squadra – gli altri stanno lavorando con le giurie e all’ingresso del teatro) fanno il loro ingresso molto poco trionfale sul terrazzo del cinque stelle, tra fotografi, telecamere e ciotole con ogni genere di cibo-non cibo (pistacchi, mandorle, capperi eccetera – così prima che ti sazi il sole sarà tramontato, sorto, e tramontato di nuovo). Qualche cameriere ci evita, qualche altro è impietosito dalle nostre facce affamate. Quello che passa sui vassoi, comunque, non è molto migliore del contenuto delle ciotole. L’unica consolazione è la vista sul mare, con le luci sulla costa che piano piano si accendono. Ogni tanto nasce un mucchietto di fotografi e curiosi ad avvertirci che qualche persona che conta ci ha appena onorati della sua presenza.
Quando è ormai completamente buio, e il cielo è tutt’uno col mare, uno dei nostri capi ci avverte che è ora di “cambiare scenografia”. Sussurriamo ai gruppetti che chiaccherano che “è meglio iniziare ad andare al teatro”.
Stavolta troviamo i cancelli già aperti. Gli altri membri della squadra perdono il senno dietro alle firme per la giuria popolare. “Ci vediamo dentro, vi teniamo i posti”, promettiamo.
Ci sistemiamo, non più in gradinata.
Premiazione, presentazione di “Ladies in lavender” in anteprima mondiale, foto di rito e proiezione.
Siamo stanchi, ma non ci neghiamo una passeggiata prima di andare a dormire.
Domenica 13 – Day Two
Ieri: “Non è che ci aiutereste a riempire delle borse col materiale del festival? Oh, sia chiaro, solo a riempirle, poi a consegnarle agli alberghi ci penseranno dei fattorini”.
Oggi: “Chi è che andrebbe a consegnare tre borse al Timeo? Tu sei libera?”…
Il Timeo è quello più vicino al palazzo dei congressi, perciò si fa a gara per aggiudicarselo. Tra Timeo, Diodoro e (per alcuni) Excelsior si arriva a fine mattinata.
Pausa pranzo (gelato o granita o panino – qui il minimo è due euri).
ore 17: finalmente il primo film (per chi può), “Brutti, sporchi e cattivi”, tributo a Nino Manfredi.
Ci consegnano i biglietti omaggio (incredibile ma vero) per la serata al teatro greco. Alle otto e qualcosa ci piazziamo davanti ai cancelli. La fame comincia a farsi sentire, ma meglio non abbandonare la nostra postazione.
Apertura dei cancelli. Ci sistemiamo in gradinata.
Ieri: “Ragazzi, poi vi faremo avere biglietti per l’inaugurazione al teatro greco. I posti sono in gradinata, ma non vi credete, pure noi tutti gli anni abbiamo i posti là”
Oggi: i nostri sguardi (oltre che sullo splendido – e quando dico “splendido” intendo proprio “splendido” – scenario del teatro, sul mare, sull’Etna e sul cielo stellato) cadono sulla platea. Manco a dirlo, è lì che troviamo i “nostri colleghi”.
Come da copione, ci sono fotografi ad ogni angolo disponibile, c’è una presentatrice tirata a lucido, c’è un pò di gente impotante. A separarli da noi, una ringhiera e qualche metro d’altezza.
Sullo schermo “Napoli che canta”, di sottofondo la voce magica di Giuni Russo.
Qualche altro convenevole, poi la Boban Markovic Orechestra suona fino alla fine.
Sabato 12 Giugno – Day One
La sveglia suona alle sei meno cinque.
Ma lalzabandiera, quello vero, si verifica almeno quindici minuti più tardi, perché se lansia è tanta, il sonno le fa una guerra spietata.
I vestiti sono pronti sulla sedia. Do uno sguardo alla maglietta bianca che ho deciso di indossare. Meglio quella azzurra? Vada per la maglietta azzurra.
Riempio la borsa dei viaggi di tutto quello che potrebbe servirmi. Le chiavi di casa no, quelle non mi serviranno.
È una bella giornata? Sì, pare proprio di sì. Eppure non è la solita estate.
I miei genitori mantengono la promessa: mi accompagneranno. Ci mettiamo in macchina. Mio padre accende il motore. Qualche minuto appena, e poi vedrò la scritta benvenuti a Vizzini allontanarsi dietro di me.
La strada è lunga, più di quanto mi aspettassi. Sbagliamo svincolo e tanto per gradire- andiamo a finire in un posto che non ho mai sentito neanche nominare. Taormina è là, sulla sua altura, che ci osserva e ci aspetta.
In un modo o nellaltro arriviamo. Con unora di anticipo, ma arriviamo. Raggiungiamo il posto, il famigerato Palazzo dei Congressi dove (tra le altre location) lavoreremo. Gli altri arrivano un po per volta, (alcuni) con e (altri) senza genitori/tassisti-per-caso, moduli per lo stage ancora da compilare in mano, facce a metà strada tra lattesa speranzosa e lo stupore per quello che ci sembrerà un sogno privo di sostanza finché non lo toccheremo con le nostre mani.
Si chiama lappello, o qualcosa del genere. Manca qualcuno. Aspettiamo.
Alle undici e cinque ci decidiamo ad entrare. Latrio del palazzo è in piena atmosfera da vigilia: segretarie che rispondono al telefono, ascensori che si aprono e si chiudono a ogni battito di ciglia, uomini col cappellino che spostano enormi vasi (con relative piante) da un angolo allaltro della stanza…
Prendiamo anche noi lascensore. Quarto piano. Sala verde (il cui nome, capiremo appena entrati, è dovuto al colore delle sedie). Ci sistemiamo in formazione, tutti in prima fila. Il nostro uomo il direttore artistico, mica uno qualunque- non si fa attendere troppo. Si presenta, e presenta le sue (mioddio innumerevoli) assistenti/collaboratrici. Tutte per nome. Niente cognomi. E se qualcuno di noi gli dà del lei, Mi chiamo Felice ribatte sorridendo. Ha in mano un foglio con i nostri nomi. Altro appello. A ogni nostro cenno di presenza, le assistenti (tutte, nessuna esclusa) annotano per bene sulla loro agenda. Che non scappi nulla.
I nostri curricula ci hanno preceduti, perciò già sanno dove collocarci: qualcuno accoglierà gli ospiti, qualcun altro si occuperà del cerimoniale di apertura e di chiusura, due di noi staranno allufficio stampa, altri si occuperanno delle giurie. Qualcuno collaborerà alla sistemazione del sito del Festival, qualcun altro (io e una mia collega) lavorerà nellufficio del capo e avrà gli stessi compiti delle sue assistenti tuttofare.
Cè Judy Dench che arriva domani a mezzanotte, qualcuno si offre di andare a prenderla assieme allautista? Giusto per fare da interprete se dovesse avere problemi o esigenze particolari. Ce la giochiamo in due, io e Grazia, visto che siamo le uniche che passeranno la notte a Taormina. Pari o dispari. Vinco io. E Judy Dench sia.
Ci consegnano il catalogo del Festival. Ci sono i vostri nomi, ci dicono. Siamo alla voce Stagisti. Piccolo sospiro dorgoglio. Ma piccolo davvero, perché cè subito da organizzarsi. Tutti.
Seguiamo ognuno il proprio referente, ovvero quella delle assistenti che si occupano del nostro settore specifico.
Incredibile ma vero, per lora di pranzo è già tutto sistemato. O quasi.
Domani mattina alle nove e mezza. Daccordo.
Un panino al bar e via di nuovo in autostrada. Senza sbagliare svincoli, stavolta.
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