Lo hanno ammanettato dentro a una villetta di Ragalna, mentre si trova insieme alla moglie Enza Scalia e al suo amato pitbull Michael, in onore del protagonista de Il padrino. Tra i suoi serpeggiava il convincimento che uno «'nfamuneddu» avesse parlato. Adesso, in primo grado, scattano le condanne
Blitz Target, 104 anni di condanne ai Carcagnusi Dal telefono bianco alla latitanza di Nuccio Mazzei
Il calendario segna il 16 marzo del 2015 e per la prima volta gli investigatori etnei iniziano a ipotizzare, in maniera concreta, che il boss mafioso Nuccio Mazzei possa nascondersi fuori dal territorio della città di Catania. L’indizio arriva grazie a Giuseppe Barbagallo e al suo smartphone, che si aggancia prima alle celle telefoniche di Paternò e, successivamente, a quelle di Santa Maria di Licodia. Il giorno dopo ci pensa Giuseppe Cardì a rafforzare la pista. Il suo cellulare viene agganciato nei pressi di Piano Tavola, per poi scomparire nel nulla. Probabilmente perché spento di proposito per evitare di essere controllato. Nonostante le precauzioni nel giro di un mese la latitanza di Nuccio Mazzei si conclude lo stesso. Ammanettato dentro a una villetta di Ragalna, mentre si trova insieme alla moglie, Enza Scalia, e al suo amato pitbull Michael, in onore del protagonista del film Il padrino.
A fine ottobre del 2016 i pezzi dell’inchiesta vengono messi insieme e scatta l’operazione antimafia Target. In manette finiscono i nuovi referenti del clan ma anche affiliati e complici dell’irreperibilità del boss. Trascorsi 12 mesi oggi si conclude il processo di primo grado con una raffica di condanne nel filone celebrato con il rito abbreviato. Scorrendo i nomi del dispositivo ci sono i 12 anni comminati a Mazzei, passando per i 15 a Carmelo Occhione – considerato il suo erede nel ruolo di reggente -, finendo con i 4 anni e 8 mesi a Gioacchina Fiducia, accusata di essere la donna di fiducia del clan.
Per il giudice Giancarlo Cascino sono colpevoli anche Rosario Seminara, 12 anni e 4 mesi con diecimila euro di multa, Carmelo Giusti, 11 anni e 4 mesi, Carmelo Grasso 10 anni e 8 mesi e la stessa moglie di Mazzei, Enza Scalia, alla quale sono state concesse le attenuanti e una pena, sospesa, a 2 anni. Quando le forze dell’ordine cercano Mazzei tra le tante figure che vengono monitorate viene dato particolare risalto al ruolo di Occhione. Di professione panettiere ma secondo l’accusa utilizzatore privilegiato di un telefono bianco riservato, da prendere in mano solo in poche occasioni per gestire affari e le faccende più intime del Carcagnuso. Il 10 aprile 2015 scatta comunque il blitz al civico 3 di vico delle Rose e Mazzei viene arrestato. Tra i suoi effetti personali c’è il contratto d’affitto, stipulato dalla moglie del boss ma attraverso un documento d’identità intestato a Gioacchina Fiducia, nel quale era stata sostituita la fotografia. Grazie alle intercettazioni successiva emergerebbero i rapporti tra la donna e il clan. «Era pienamente a conoscenza delle dinamiche dell’organizzazione e dell’esistenza del telefono bianco», si legge nell’ordinanza di custodia cautelare.
Già qualche anno prima, siamo nel 2008, Fiducia era stata pizzicata durante una perquisizione a casa effettuata dagli agenti della squadra mobile di Catania. Oltre alla droga la donna, insieme al fratello, custodiva numerose munizioni e due pistole. Pure Occhione, stando all’ipotesi dell’accusa che alla donna contestava il reato di falso e concorso esterno in associazione mafiosa, si sarebbe fidato dell’imputata, tanto da utilizzarla come una sorta di segretaria della cosca. Abile a occuparsi di appuntamenti, «convocare persone» e mettere a disposizione il suo telefono per alcune chiamate.
L’inchiesta Target non ha tolto il velo soltanto sui segreti della latitanza di Mazzei, ma anche sul periodo successivo alla cattura. Mesi occupati a rimettere insieme i pezzi così da riprendere affari e rapporti tra affiliati e nuovi vertici. Mesi di fibrillazioni in cui dentro la storica roccaforte del clan di via Belfiore, nel quartiere San Cristoforo, a prendere piede sono anche sconforto e sfiducia nei confronti di qualcuno che potrebbe avere tradito, svelando il nascondiglio del latitante. «Nelle piccole cose si vede l’onestà delle persone – scrivevano due presunti affiliati via sms – e lui ha dimostrato varie volte di essere ‘nfamuneddu». Il lui in questione potrebbe essere il possibile traditore, che però non è mai stato identificato.
Le condanne
Giuseppe Barbagallo: 11 anni e 4 mesi;
Vito Danilo Caputo: 2 anni e 8 mesi;
Giuseppe Cardì: 10 anni e 4 mesi;
Gioacchina Fiducia: 4 anni e 8 mesi;
Carmelo Giusti: 11 anni e 4 mesi;
Carmelo Grasso: 10 anni e 8 mesi;
Salvatore Guglielmino: 8 anni e 8 mesi;
Sebastiano Mazzei: 12 anni;
Carmelo Occhione: 15 anni;
Enza Scalia: 2 anni, pena sospesa;
Rosario Seminara: 12 anni e 4 mesi;
Francesco Spampinato: 3 anni.