La raccomandazione sì ma purché abbiano dei margini di convenienza. C’è una storia particolare all’interno dell’indagine Padrino sulla mafia in provincia di Palermo che ieri ha portato al blitz dei carabinieri di Termini Imerese. Nel mirino delle forze dell’ordine è finito il mandamento mafioso di Trabia con all’interno le famiglie di Cosa nostra di Termini […]
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Il blitz Padrino e la raccomandazione andata male. «Mi alzo alle 4 di notte e faccio cose che non mi piacciono»
La raccomandazione sì ma purché abbiano dei margini di convenienza. C’è una storia particolare all’interno dell’indagine Padrino sulla mafia in provincia di Palermo che ieri ha portato al blitz dei carabinieri di Termini Imerese. Nel mirino delle forze dell’ordine è finito il mandamento mafioso di Trabia con all’interno le famiglie di Cosa nostra di Termini Imerese, Caccamo, Vicari e Cerda. Sette anni di indagini, 32 persone indagate, per ricostruire gerarchie e nuovi organigrammi. Vertici, reggenti, soldati ma anche uomini della vecchia guardia che dopo essere tornati in libertà volevano tornare a comandare. In mezzo una vicenda curiosa che ha riguardato il 46enne Massimiliano Vallone. L’uomo, secondo i magistrati, nel territorio di Trabia avrebbe fatto parte della fazione mafiosa capeggiata da Antonino Teresi, contrapposta a quella di Biagio Sumadele Esposto. Oltre a fare da autista, per i pm che hanno chiesto e ottenuto la custodia cautelare in carcere, avrebbe eseguito personalmente «atti incendiari, furti e danneggiamenti». Nel 2020 le forze dell’ordine intercettano Vallone mentre cerca una sorta di raccomandazione per lavorare come operaio all’interno di un note hotel-ristorante con affaccio sul mare di Ficarazzi, sempre in provincia di Palermo. Il suo interlocutore, un ingegnere ed ex consigliere comunale non indagato, avrebbe fatto da tramite per il colloquio con il titolare dell’attività ricettiva: «Te l’ho detto…vacci», diceva il professionista confermando all’uomo l’appuntamento fissato per le 17 dell’indomani.
Il pomeriggio del giorno successivo alla telefonata Vallone si presenta effettivamente per il colloquio ma le cose non cominciano proprio bene: «Io sono qui da 25 minuti, sto aspettando. Io sono stato puntuale nell’appuntamento, mi hanno detto “aspetta” però dico è giusto che te lo faccio sapere», si lamentava con l’ingegnere che avrebbe fatto da tramite. Alla fine però il colloquio avrebbe comunque avuto gli esiti sperati con tanto di contratto part-time come operaio edile: «Mi fa: “Lunedì mattina vieni a lavorare, non ti creare problemi“». I problemi però sarebbero arrivati presto. Dalle intercettazioni, stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, Vallone si sarebbe iniziato a lamentare sia per le mansioni svolte che per la paga. Inferiore rispetto ai soldi incassati con il reddito di cittadinanza e, prima ancora, con l’indennità di disoccupazione.
L’uomo però non si sarebbe perso d’animo, attuando quello che nell’ordinanza di custodia cautelare viene definita «una subdola condotta vendicativa nei confronti del titolare dell’attività». Vallone avrebbe pensato bene di fare bloccare il cantiere chiamando in aiuto una parente e di rimando il marito di quest’ultima, appartenente alle forze dell’ordine. In questo modo l’uomo non sarebbe stato costretto a dimettersi e con il blocco del cantiere non avrebbe perso la disoccupazione. «Papà mi stanno facendo fare cose – si lamentava al telefono – che io mi alzo alle quattro di notte e sto facendo delle cose…che a me non piacciono». Nello specifico, stando a quanto emerso, il materiale edile di risulta dei lavori – come mattoni, ceramiche e ferro – doveva essere buttato a mare. Un metodo di smaltimento dei rifiuti a cui sarebbe stato impossibile ribellarsi perché «a suo dire si trattava di persone appartenenti al sodalizio mafioso di Ficarazzi», si legge nell’ordinanza. Il tanto attesto intervento degli uomini in divisa però non arriva perché sarebbe stata necessaria una denuncia formale. Così quando Vallone torna a lavoro e riceva una paga, per la settimana, di appena 80 euro esplode in tutto il suo dissenso. «Ora ridiamo – diceva alla compagna – mi ha dato 80 euro. Un giorno e mezzo e l’infortunio me l’ha messo in culo». Uno sgarbo in piena regola e non solo per l’uomo: «Loro – aggiungeva intercettato – hanno mancato di rispetto a me e alla famiglia del paese». Parole che per i magistrati farebbero chiaramente riferimento alla cosca mafiosa attiva a Trabia e che non sarebbe stata l’unica ad avere rappresentanti all’interno della struttura. Questo quello che poi lo stesso 46enne raccontò alle forze dell’ordine in un percorso di collaborazione con la giustizia che non si è mai concretizzato davvero.