«Voglio tornare a casa». Non è stato semplice per gli agenti del commissariato comprendere le parole del giovane indiano che comunicava solo in un dialetto parlato in una zona del Punjab. Il ragazzo, si scoprirà in seguito, era stato costretto a vendere i terreni di famiglia per riuscire a pagare la somma richiesta dall’organizzazione criminale sgominata grazie all’operazione Golden Circus. La banda che sfruttava una norma della legislazione siciliana per far entrare clandestinamente migranti da India, Pakistan e Bangladesh con un nullaosta da artisti del settore circense chiedeva tra i 15 e i 17 mila euro per ogni immigrato.
«Il giovane – racconta il vicequestore aggiunto di Palermo, Rosaria Maida – una volta giunto in Italia aveva iniziato a lavorare davvero presso un circo, ma non avendo nessuna competenza artistica e non essendo in grado di ricoprire mansioni tecniche, era riuscito a scappare. È arrivato in commissariato e ha chiesto di essere rimpatriato: «Voglio tornare a casa» ha detto. La sua testimonianza, insieme a quelle di altri due giovanissimi, che a differenza sua la pista di un circo non l’hanno mai nemmeno vista, sono state fondamentali per lo sviluppo delle indagini, che si sono protratte per due anni, anche a causa delle difficoltà legate alla natura itinerante delle attività circensi.
I tre hanno raccontato agli investigatori i dettagli del viaggio che li ha portati nel vecchio continente, una sorte condivisa con oltre 500 altri migranti. «Molti di loro – spiega Leonardo Agueci, procuratore aggiunto di Palermo – si sono dileguati, facendo perdere ogni traccia, non appena messo piede sul territorio italiano, altri, invece, sono rimasti a lavorare all’interno dei circhi, ricoprendo le mansioni più umili». Eppure erano proprio i circensi a contattare i vertici dell’organizzazione per richiedere personale, inevitabilmente attratti dai compensi offerti loro, che gli consentivano di far fronte alla crisi che ha messo in ginocchio in settore.
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