Tra blackout e promesse, l’analisi del futuro energetico della Sicilia: «Serve intanto educare i cittadini e le comunità»

La Sicilia sarà davvero l’hub energetico europeo? Tra blackout estivi e promesse di strategie non mantenute, il ruolo dell’Isola nel nuovo piano energetico italiano presentato dal ministero dell’Ambiente all’Unione Europa sembra più da palco di passaggio che da protagonista. In un contesto generale che ha attirato critiche da più parti per lo scarso coraggio delle misure previste a favore della decarbonizzazione. È davvero così? Ne abbiamo parlato con Fabio Cardona, docente di Pianificazione e gestione dell’energia all’università di Palermo.

Nel piano, alla voce che potremmo definire buoni propositi, si sottolinea come pensare alle grandi industrie inquinanti – finora al centro di progetti e fondi, anche in Sicilia – non basti, ma servano anche soluzioni per i trasporti e il settore residenziale. Si tratterebbe di una svolta o di una goccia nel mare?
«Il settore maggiormente energivoro è sicuramente quello industriale, con il 36 per cento dei consumi, ma i trasporti con il 26 per cento e il settore residenziale con il 22 per cento contribuiscono in maniera significativa all’inquinamento del nostro Paese. Intervenire anche in questi due ambiti garantirebbe di certo un contributo importante alla diminuzione delle emissioni nocive nell’ambiente».

Lo spazio dedicato alle fonti rinnovabili è minore di quello che ci si aspetterebbe e pare ci si focalizzi solo sulla velocità delle autorizzazioni ai progetti privati – tema delicato per la politica regionale – e sugli incentivi per i cittadini: non c’è davvero altro da fare o così lo Stato si deresponsabilizza?
«L’iter autorizzativo rappresenta sicuramente un collo di bottiglia alla diffusione degli impianti a fonti rinnovabili, ma credo che anche la gestione delle immissioni e dei prelievi di energia elettrica di tutti i nuovi impianti rappresenti un problema soprattutto vista la vetustà del sistema di distribuzione elettrico italiano e soprattutto siciliano».

Ne sanno qualcosa i cittadini catanesi alle prese con i lunghi blackout di questa estate. Ma perché lo stato dell’Isola è così pietoso? Cosa servirà per una reale integrazione con le rinnovabili?
«Il sistema italiano di distribuzione di energia elettrica è decisamente datato e concepito per la distribuzione di energia a partire dalle vecchie grosse centrali realizzate in passato. Lo sviluppo e l’installazione continua di nuovi impianti diffusi, soprattutto a fonti rinnovabili, è di difficile integrazione con questo sistema. Per questo è forte l’esigenza di un ammodernamento e ampliamento del sistema di distribuzione».

Vedendo invece il bicchiere mezzo pieno, in un paio d’occasioni, nel progetto del ministero ci si sofferma sui progetti per le isole minori, per lo più alimentate ancora da generatori diesel: rappresentano un’occasione per testare l’autonomia energetica possibile?
«Sicuramente sì. Ci sono alcune tecnologie che potrebbero sembrare antieconomiche in altri contesti, ma che trovano la loro migliore applicazione proprio nelle isole, dove appunto la particolare condizione geografica le rende necessarie. Penso, ad esempio, alla produzione di energia elettrica dal moto ondoso, oggi ancora con efficienze molto ridotte, ma indicatissima per le isole. Si potrebbe pensare alla realizzazione di un modello replicabile a diverse scale».

Eppure, intanto, la gran parte del piano sembra ancora dedicata al settore del gas, con la Sicilia come snodo principale: una prospettiva necessaria o un modo per non affrontare di petto la rivoluzione green?
«Credo che le rinnovabili, affette dall’imprevedibilità della loro fonte di energia primaria – presenza di sole, di vento, etc. – debbano essere sempre integrative rispetto alle fonti tradizionali. A meno che non si pensi a un incredibile sovradimensionamento di questi impianti, costruendo ad esempio dieci impianti quando ne basterebbero due, così da garantirsi che da qualche parte ci sia il sole! Per questo approvo la linea di utilizzo del gas, sicuramente migliore del petrolio, e non escluderei affatto quella del nucleare».

Nel documento si fa accenno al nucleare solo come partecipazione italiana alla ricerca. Sembrano lontani i tempi della mappa governativa con 14 possibili centrali, di cui una a Palma di Montechiaro, nell’Agrigentino. Va superata la paura?
«Confermo essere una scelta fondamentale e sicura insieme alle rinnovabili. Garantirebbe una fornitura stabile ed economicamente conveniente. Solo gli stolti, a mio modesto avviso, dicono no a priori. Non è necessario ricorrere alla retorica del “abbiamo già le centrali altrui alle porte di casa”, basterebbe pensare che la tecnologia di oggi non è certo quella dei tempi di Chernobyl».

A proposito di progetti scomparsi: nel piano non si fa più menzione al rigassificatore di Mazara del Vallo, nel Trapanese, resuscitato l’anno scorso dalle parole dell’amministratore di Enel. La sua assenza sarebbe un problema?
«La diversificazione delle fonti di approvvigionamento è sempre un bene, soprattutto di fronte a crisi geo-politiche che possono ridurre alcuni canali di rifornimento. Anche la diversificazione geografica è importante e, quindi, la presenza di un rigassificatore in Sicilia la vedrei come un’ottima soluzione. Credo che ci sia stato un grosso intoppo burocratico dovuto alla scadenza di una autorizzazione. Sicuramente la fase di stallo indica che ci sia poco interesse per questo impianto».

Anche lo spazio dedicato all’idrogeno sembra un libro dei sogni, con riferimenti ai progetti siciliani che finora non hanno mai visto la luce. Quanto è urgente davvero?
«L’idrogeno ha l’enorme handicap degli aspetti legati alla sicurezza che fanno lievitare i costi di installazione. Ritengo che sia una fonte rinnovabile ancora poco investigata in Sicilia e che debba essere incentivata, com’è successo per il fotovoltaico o l’eolico, per promuoverne lo sviluppo».

L’ultima parte del piano è dedicata alle misure per i cittadini: bonus edilizi e il nuovo reddito energetico allo studio. Bastano o servirebbe qualcosa in più?
«Bisognerebbe educare il cittadino e la sua piccola comunità energetica, che sia la villa privata o il condominio, a un consumo intelligente di energia. Al tempo stesso, lo Stato dovrebbe creare delle misure per promuovere l’installazione di sistemi dedicati di energia per l’autoconsumo. Ogni palazzo dovrebbe essere munito di impianti di produzione di energia elettrica autonomi sia a fonti rinnovabili che non. Il consumo intelligente di energia nasce nelle nostre case e su larga scala come conseguenza».


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