Carmelo Bisgonano, arrestato oggi, avrebbe stretto un patto con l'imprenditore di Mazzarrà, Tindaro Marino - in manette pure lui - per avviare insieme una società in cambio di testimonianze più morbide. I due avrebbero attivato tutti i contatti possibili per ottenere la certificazione antimafia. Guarda video e foto
Bisognano, il pentito accusato di fare affari Dichiarazioni a orologeria e tentata estorsione
Sarebbe stato socio occulto di un’impresa, avrebbe rilasciato false dichiarazioni per favorire i suoi amici e avrebbe avanzato richieste estorsive ad altri imprenditori. Il tutto mentre si trovava sotto protezione. Sono le pesanti accuse che la Procura di Messina rivolge al pentito Carmelo Bisognano residente in località protetta. «Continuava a coltivare anomali interessi nel territorio di Mazzarrà Sant’Andrea, nonostante si fosse allontanato da tempo da quell’area». I legami tra Bisognano e Tindaro Marino, un imprenditore di Mazzarrà, sono al centro dell’operazione Vecchia maniera.
Come spiegato dal sostituto procuratore capo Guido Lo Forte e dai pm della Direzione distrettuale antimafia Vito Di Giorgio e Angelo Cavallo, Bisognano è intervenuto per difendere Marino che sarebbe stato vittima di estorsione da parte di Giuseppe Cammisa, Sebastiano Torre e Mario Pantè, affiliati alla cosca dei Mazzaroti e arrestati nell’aprile del 2015 durante l’operazione antimafia Gotha 5. Chiare in tal senso alcune intercettazioni telefoniche: «Melo dice di lasciare stare, di finirla con queste discussioni, con queste cose, di finirla, altrimenti scende lui e la fa finire». Durante le indagini gli investigatori hanno ricostruito che Bisognano avrebbe avuto anche un diretto interesse nella società – la Ldn costruzioni – di cui era formalmente titolare l’imprenditore di Mazzarrà. In particolare le intercettazioni telefoniche e ambientali hanno fatto emergere un presunto patto tra Bisognano e Marino, basato su uno scambio di prestazioni con reciproco vantaggio e concluso nell’agosto del 2015 grazie alla collaborazione di Angelo Lorisco, un fedelissimo del pentito.
Secondo gli inquirenti, l’accordo prevedeva che il collaboratore di giustizia rilasciasse dichiarazioni più favorevoli nei confronti di Marino rispetto a quelle rese in precedenza nell’ambito dei vari procedimenti che lo riguardavano. Dal canto suo l’imprenditore avrebbe erogato notevoli somme di denaro e si sarebbe impegnato a coinvolgere Bisognano nelle sue attività, entrando in affari direttamente con lui fino al punto di costituire e finanziare una società, di fatto riconducibile ad entrambi, anche se intestata ad altri soggetti, oggi indagati nella stessa operazione.
I due avrebbero tenuto fede agli impegni assunti. Come accertato dalle indagini, il collaboratore di giustizia nel settembre del 2015, quindi un mese dopo il patto, avrebbe reso le dichiarazioni richieste da Marino e utilizzate davanti alla Corte di Cassazione nel giudizio Gotha1-Pozzo2. Da qui l’accusa di false dichiarazioni contestata dalla gip Monica Marino che scrive: «Può senz’altro sostenersi che Bisognano, in ossequio e osservanza di accordi in precedenza conclusi con Tindaro e Lorisco, abbia rilasciato false dichiarazioni sulla posizione del Marino stesso, in quanto oggettivamente diverse da quelle in precedenza rese, assolutamente più favorevoli per quel soggetto in quanto ne attenuavano non poco la sua responsabilità penale. La scelta fatta dal Bisognano, come detto, è stata fatta al fine di conseguire un vantaggio concreto, di non poco rilievo: poter iniziare a svolgere una nuova, lucrosa attività imprenditoriale, al riparo da occhi indiscreti».
Secondo la giudice, inoltre, le intercettazioni farebbero emergere come «l’effettivo proprietario della società era Bisognano il quale, non potendo figurare in prima persona nell’assetto societario a causa dei suoi trascorsi giudiziari e dell’attuale status di collaboratore di giustizia, si è occupato personalmente di far intestare le quote agli odierni indagati avvalendosi della fattiva collaborazione di Marino». Quest’ultimo avrebbe consegnato denaro e veicoli per svolgere le attività dell’impresa, in alcuni casi sollecitato direttamente dal pentito che gli ricordava gli impegni presi. La società, subito molto attiva, è riuscita ad accaparrarsi diversi lavori pubblici nella fascia tirrenica della provincia di Messina.
Ulteriore conferma per gli investigatori arriva a febbraio del 2016: Marino, dimostrando di vantare consolidati rapporti nel Palermitano, vorrebbe in un cantiere ferroviario di quella provincia alcuni mezzi dell’impresa. Con questo obiettivo avrebbe messo in contatto Angelo Lorisco con un capo cantiere. Dagli incontri dei due, prontamente riferiti a Bisognano, si sarebbe arrivati a un accordo con la stipula di un contratto di lavoro in attesa del rilascio della certificazione antimafia. Un nodo quest’ultimo che, sottolinea la gip, stava molto a cuore alla coppia Bisognano-Marino. «Le ultime conversazioni intercettate – scrive la giudice – mettevano in luce il particolare attivismo dei due per ottenere la certificazione». Per «velocizzare il rilascio» avrebbero provato ad attivare ogni conoscenza utile.
Ma non solo. A Bisognano e Lorisco viene contestata pure la tentata estorsione ai danni di due imprenditori edili di Terme Vigliatore. Lo scorso febbraio infatti il pentito, per imporre l’utilizzo di alcuni mezzi della sua società, avrebbe minacciato i titolari di un’impresa di cambiare le dichiarazioni rese in passato sul loro conto, quando avrebbe omesso fatti di rilievo penale, pregiudicando la posizione dei due imprenditori e quindi delle società da loro gestite. Oltre ai quattro arrestati di oggi – Bisognano, Marino, Lorisco e Stefano Rottino (anche gli ultimi due accusati di estorsione a danno di una società di Barcellona che si occupa di servizi per la cura della persona) – altre quattro persone sono indagate in stato di libertà per avere concorso nel reato di attribuzione fittizia di titolarità societarie.