C’è ancora una frontiera tutta da esplorare in Sicilia nel campo della produzione di energia da fonti rinnovabili, quella delle biomasse. Sono i giorni dell’apertura del terzo impianto siciliano di produzione di biogas – a Ciolino Resuttano, in provincia di Caltanissetta – e l’occasione, per il Consorzio italiano biogas (Cib), di una nuova riflessione sulle possibilità di espansione del settore nel Mezzogiorno, al momento in netto ritardo rispetto al nord Italia.
Numerosi gli incontri, sia pubblici che privati, che si sono svolti fra tecnici, imprenditori già protagonisti del comparto nazionale e possibili nuovi investitori isolani, nel segno di una certezza: la necessità improrogabile di una modernizzazione dell’agricoltura siciliana, da stimolare proprio attraverso il «biogas fatto bene». Sono infatti centinaia di migliaia l’anno le tonnellate di scarti agricoli, di pastazzo – il residuo della lavorazione degli agrumi – o scarti dell’allevamento che vengono trattate come un rifiuto, anziché essere immesse nella filiera della digestione anaerobica, che termina con il biogas. La loro fermentazione e trattamento potrebbe invece essere una miniera d’oro energetica per l’azienda agricola, affiancando nuove potenzialità di tipo industriale al rispetto dell’ambiente, dato il notevole contributo del processo alla riduzione delle emissioni.
Rimane sul tavolo il tema del gap fra nord e sud Italia, ma questa non può che essere «un’opportunità per l’imprenditoria sana di queste regioni». Ne è convinto Piero Gattoni, mantovano 43enne, imprenditore agricolo ed allevatore che dal 2011 presiede il Cib, secondo cui «in Sicilia ci sono ancora tutti gli spazi per valorizzare sottoprodotti e scarti attraverso lo sviluppo di un progetto agroindustriale come quello che sottende il biogas, l’ideale per territori che oggi soffrono per i bassi prezzi delle commodities ma con una ben nota vocazione verso l’agroalimentare di qualità».
Fra i motivi per cui l’Isola è rimasta indietro, secondo Gattoni, «sicuramente la tanta attenzione data dalle imprese siciliane a fonti di rinnovabili come il sole ed il vento durante la prima fase di sviluppo del settore – risalente a circa dieci anni fa in Italia – ma anche un problema infrastrutturale, specie dal punto di vista elettrico dove la Sicilia paga delle carenze, aspetto cruciale visto che il biogas è prevalentemente orientato verso l’energia elettrica». Infine, ii tema della carenza di investimenti e dell’accessibilità al credito: «Un freno specie per il settore della zootecnia che è il primo motore della tecnologia del biogas, da noi sviluppata a partire dal modello tedesco», oltre alle difficoltà normative, «dovute anche alle poche iniziative – spiega ancora Gattoni – che hanno significato poche occasioni di crescita nel rapporto tra impresa ed enti locali».
Ma adesso è il momento di un colpo di reni cui il Cib – l’ente conta su oltre 600 consorziati fra aziende produttrici di biogas, fornitori di impianti e tecnologie ed altre istituzioni partner – vuole contribuire, al fianco dell’imprenditoria interessata alla sfida della «rivoluzione agricola del biogas». «La parola rivoluzione è proprio quella giusta – ragiona Gattoni, che è anche vicepresidente del Consorzio Parmigiano Reggiano – perché il biogas serve ad aumentare la competitività senza ripercussioni sull’ambiente, ed anzi rendendo più forte il settore primario». Questo significa anche potenziare l’indotto e miglioramenti per gli altri settori dell’economica, come mostra l’esperienza delle imprese del panorama Cib.
Una sfida che può valere per il Mezzogiorno anche cinquemila posti di lavoro in più, secondo un recente studio del consorzio, e che passa anche dalla presa di coscienza della questione da parte della politica. «I nostri rappresentanti devono capire che la difesa del settore biogas – dove l’Italia ha un know how secondo solo a quello della Germania – è strategica per il made in Italy e per i consumatori», incalza Gattoni, ad esempio anche nella mobilità sostenibile. Il biogas è infatti costituito in gran parte da metano, utilizzabile dopo un percorso di raffinazione anche per i veicoli a motore. Il mercato italiano della auto a metano è uno dei più grandi d’Europa e per questo l’attenzione del legislatore non dovrebbe limitarsi al settore elettrico, rischiando di penalizzare tutto il resto. «Non basta lo stimolo delle normative e dei fondi europei – è la chiosa finale del presidente del Cib – ci vuole una forte e costante attività di sensibilizzazione da parte di tutti gli attori, che porterà maggiori risorse e normative sempre meglio indirizzate».
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