Nelle ordinanze con le quali la magistratura contabile convoca il primo cittadino a Palermo ci sono anche i riferimenti normativi al Tuel, la legge che definisce le norme di comportamento delle amministrazioni. E in cui si scrive che il prefetto deve ordinare al consiglio comunale la deliberazione del default
Bilancio, la corsa ai ripari di Girlando e Bianco Mentre la Corte dei conti minaccia il dissesto
«Grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi intermedi fissati dal piano». È racchiuso tutto in questa frase il rischio che il consiglio comunale debba deliberare il dissesto del Comune di Catania. A dirlo è il Testo unico degli enti locali (il Tuel), la legge che definisce le norme di comportamento che devono seguire le amministrazioni cittadine. E che contiene un capitolo interamente dedicato ai Comuni «deficitari o dissestati». È quella la parte alla quale fa riferimento il giudice della Corte dei conti Giovanni Di Pietro nelle ordinanze con cui convoca il primo cittadino Enzo Bianco a Palermo. L’appuntamento è fissato per il 31 maggio e in vista di quella data, questa mattina, a Palazzo degli elefanti si terrà una conferenza stampa – da più parti definita «blindata» – sul bilancio e sul piano di riequilibrio.
In attesa dell’adunanza palermitana del prossimo martedì, l’assessore al Bilancio Giuseppe Girlando starebbe preparando delle risposte da inviare alla Corte. Ma la replica della magistratura contabile – che il 31 maggio dovrà formulare la sua decisione – rischia di essere dura. Il giudice Di Pietro parla chiaramente di «mancato rispetto» delle leggi. Per esempio in merito all’accesso al fondo di rotazione, cioè le somme messe a disposizione dallo Stato alle amministrazioni pubbliche in gravi difficoltà economiche. Le anticipazioni statali, però, devono essere restituite entro dieci anni ed entro un triennio devono essere ridotte le spese, dice il Tuel, di almeno il dieci per cento. Cosa che il Comune non avrebbe fatto, anzi. Nel bilancio 2015 i costi delle prestazioni di servizi, nota la Corte dei conti, passano dai «173,2 milioni di euro del rendiconto 2014 a 178,97 milioni di euro».
Non solo. La Corte ammonisce il Comune per non essere riuscito a incassare abbastanza tributi. Al contrario di quanto aveva promesso per avere accesso agli aiuti statali. Palazzo degli elefanti avrebbe dovuto ridurre le sue richieste a Roma del 25 per cento negli ultimi tre anni. Ma in base ai rilievi di Di Pietro non l’ha fatto. Un’altra violazione del Testo unico degli enti locali. Cosa già grave di per sé, ma ancora di più se inquadrata nel momento storico che stanno vivendo le casse comunali. Si attende ormai da mesi la riformulazione del piano di riequilibrio del municipio che – come previsto da una legge approvata nel 2015 – permetterà di spalmare i debiti catanesi in trenta anziché in dieci anni. «Se la legge non lo prevedesse, il Comune di Catania sarebbe in dissesto», conferma Fabio Sciuto, presidente del collegio dei revisori dei conti etneo nel corso di una tanto animata quanto preoccupata riunione della commissione Bilancio a Palazzo dei Chierici.
Ma anche senza la rimodulazione in scala trentennale lo spettro del default sembra non essere troppo lontano. Il perché lo dicono ancora i magistrati contabili che hanno il compito di vigilare sull’attuazione del piano di rientro. Nel caso in cui, però, gli accertamenti della Corte dei conti evidenziassero che più volte, e in modo grave, il Comune di Catania non realizza quanto si è prefissato, allora si dovrebbe applicare la legge. Che, recita il Tuel, prevede «l’assegnazione al Consiglio comunale, da parte del prefetto, del termine non superiore a venti giorni per la deliberazione del dissesto». Ed è in questa direzione che potrebbe andare l’assist del giudice Giovanni Di Pietro: «Il persistere delle irregolarità segnalate e l’aggravarsi di determinati profili di criticità – scrive nell’ultima pagina di un documento datato 18 maggio 2016 – potrebbe avere riflessi pregiudizievoli per il ripristino degli equilibri di bilancio negli esercizi futuri».