Biancavilla, l’accordo dei clan sull’Ambulanza della morte «Mio padre moribondo, sembrava volesse dirmi qualcosa»

Le carte del tribunale di Catania sull’inchiesta Ambulanza della morte restituiscono un’immagine più nitida di quanto sarebbe accaduto a Biancavilla a partire dal 2012. L’operazione, eseguita dai carabinieri, ha portato all’arresto del barelliere adranita Davide Garofalo, di 42 anni. La procura lo accusa per la morte di tre malati terminali che, durante il trasporto dall’ospedale a casa, sarebbero stati uccisi all’interno della sua ambulanza privata con iniezioni d’aria, per aumentare i profitti sui servizi delle agenzie di pompe funebri controllate da due clan mafiosi: i Mazzaglia-Toscano-Tomasello di Biancavilla e i Santangelo di Adrano. Altri due barellieri sono indagati a piede libero. 

L’ambulanza utilizzata da Garofalo, secondo la ricostruzione degli inquirenti, apparteneva a una delle due imprese di pompe funebri di Biancavilla che sarebbero finite stritolate dalle cosche locali, a un punto tale che il mezzo sarebbe stato nella loro piena disponibilità. I clan avrebbero deciso di unire le forze per «sfruttare» il settore nel modo più redditizio possibile. Uno dei testimoni – finito sotto la protezione della magistratura – ha specificato che anni fa quell’ambulanza era «l’unica  all’interno dell’ospedale di Biancavilla che effettuava il trasporto di vivi e morti». In passato – si legge nel verbale – ce n’erano altre, «delle diverse agenzie funebri di Biancavilla e Adrano, ma successivamente i clan dei due Comuni, ritenendo – prosegue la testimonianza – che vi fosse troppa confusione e un minore guadagno» avrebbero deciso che i mezzi di «Biancavilla dovevano restare a Biancavilla e quelle di Adrano ad Adrano».

Il testimone avrebbe inoltre evidenziato che a uno dei titolari delle agenzie sarebbe stata imposta l’assunzione di Davide Garofalo, come referente della famiglia mafiosa Santangelo di Adrano. «Io vedevo A.S. (uno dei due soggetti indagati) fare delle punture delle quali io sconoscevo il contenuto, incuriosito chiedevo lumi sentendomi rispondere che lo stesso iniettava aria che entrava in vena e provocava una bolla d’aria al cuore. Alla mia domanda sul perché – recita il verbale – A.S mi rispondeva che era una pratica fatta per aumentare i guadagni, in quanto il trasporto di un morto viene pagato in maniera differente rispetto a uno vivo». La persona che ha collaborato con i pm catanesi avrebbe raccontato che «prima di iniettare l’aria in vena, abbassavano il lenzuolo, alzavano leggermente la manica del braccio dove vi era l’ago della flebo. Venivano sempre usati guanti in lattice – emerge ancora dalle carte – che insieme alla siringa venivano gettati nel contenitore apposito». 

In un primo momento, nello scorso maggio, la vicenda dell’ambulanza della morte era emersa a seguito di una puntata della trasmissione di Italia 1 Le Iene, nel corso della quale l’inviata aveva intervistato un testimone oculare. Notizie che avrebbero preoccupato Garofalo e i suoi presunti soci. Dalle intercettazioni telefoniche si evincerebbe come la trasmissione televisiva «abbia influito – si legge nell’ordinanza – sui comportamenti tenuti dagli indagati, soprattutto nelle conversazioni telefoniche, improntandole a particolare prudenza. Non può non mettersi in rilievo – proseguono i documenti – come emerga una forte preoccupazione da parte di Garofalo Davide in ordine alle indagini in corso, i commenti della moglie che gli dice di andare dall’avvocato e l’indicazione ad alcuni soggetti di usare l’accortezza di non parlare al telefono». 

In quella fase sarebbe cambiata anche la modalità di trasporto dei malati. «Dopo la trasmissione – è scritto nell’ordinanza – i barellieri imponevano quale condizione per effettuare il trasporto la presenza del congiunto a bordo dell’ambulanza». Gli inquirenti hanno ascoltato come testimoni anche i familiari dei soggetti deceduti. Tra loro c’è chi ricorda il decesso del proprio genitore, dimesso dall’ospedale di Biancavilla e trasportato a casa, distante appena 300 o 400 metri dalla struttura sanitaria. Arrivati a casa «mi riferirono con aria mesta che si erano accorti che mio padre era morto. Salito in ambulanza – ricorda il testimone – con mio stupore notai che ancora era moribondo ed aveva gli occhi aperti e sgranati, ansimando come se volesse dirmi qualcosa». «Mi allontanai per la disperazione – ha raccontato il parente – e, rientrato a casa dopo 20-25 minuti, trovai mio padre morto già vestito nel letto». Questa mattina Davide Garofalo è stato sentito dal gip Santino Mirabella per l’interrogatorio di garanzia. L’uomo, alla presenza del suo avvocato Salvatore Liotta, si è avvalso della facoltà di non rispondere.


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