IERI SERA, A PALERMO, IL LEADER DEL MOVIMENTO 5 STELLE HA IRONIZZATO SU UN’ONORATA SOCIETA’ CHE NELL’UNIONE EUROPEA FA ORMAI PARTE EFFETTIVA DEL CALCOLO DEL PIL
Chissà perché ogni volta che Beppe Grillo arriva in Sicilia sente il bisogno di parlare della mafia. A modo suo, s’intende: con ironia, con paradossi e con esempi a volte un po’ sconclusionati, ma efficaci.
Le considerazioni di Grillo, andate in scena ieri sera a Palermo, in una Piazza del Parlamento gremita (ormai solo il leader del Movimento 5 Stelle e la Cgil riescono a riempire le piazze del nostro sempre più scombicchierato Paese), arrivano in un momento in cui non è facile capire quello che sta succedendo. A tutti i livelli.
In Sicilia la mafia è ancora forte, su questo non ci sono dubbi. Anzi, per essere precisi, è forte in tutto il Paese. E forse è forte anche in Europa. Il riferimento di Grillo agli uomini di affari – e il parallellismo tra questi ultimi e la mafia – non va preso sotto gamba. Ricordiamoci che l’Unione europea ha stabilito che gli affari delle mafie, ovunque esse siano, vanno inserite nel calcolo del Pil (Prodotto interno lordo).
Ne consegue che se la mafia va male, va male anche il Paese dove la mafia fa affari e prospera. Insomma, la lotta alla mafia potrebbe creare problemi al rapporto deficit-Pil…
Fa un certo effetto sentire parlare di mafia in modo non tradizionale in una città – Palermo – dove si sta celebrando, tra mille difficoltà, il processo sulla trattativa tra Stato e mafia, paradigma di un legame tradizionale dai Mille di Garibaldi alle stragi di Capaci e via D’Amelio.
A distanza di oltre vent’anni si sta provando a rintracciare il filo conduttore di una stagione di bombe, stragi e cambiamenti politici. La verità si immagina. Forse è molto più vicina di quanto non sembri. E non è chiaro il perché certi politici di allora, oggi ancora vivi, si ostinino a giocare a nascondino.
Di queste cose, ieri sera, Grillo non ha parlato. E non ha parlato nemmeno dei grandi affari che prosperano all’ombra dell’antimafia. Eppure il Movimento del quale è leader, appena qualche giorno fa, ne ha denunciato uno pesantissimo: un mega termovalorizzatore per bruciare i rifiuti di cinque province della nostra Isola: Palermo, Trapani, Enna Agrigento e Messina.
Un affare miliardario. Con un impatto ambientale che sarebbe devastante. Insomma, qualcosa l’antimafia – che come la mafia, o forse con la mafia – sguazza nel mondo dei rifiuti, la deve fare.
Ieri, mentre ascoltavamo, davanti al computer, il discorso di Grillo, pensavamo alle esternazioni – al solito, senza capo né coda – del presidente della Regione, Rosario Crocetta, all’Arena di Giletti.
Ci chiedevamo se un bel giorno Giletti, in qualche trasmissione, chiederà a Crocetta: “Presidente, ma è vero che con lei, in Sicilia, è aumentato il numero delle discariche? E’ vero che il suo Governo non ha fatto nulla per introdurre e diffondere in Sicilia la raccolta differenziata dei rifiuti? E’ vero che voleva realizzare una mezza discarica – chiamata con eleganza ‘Centro di trasferenza’ – a Terrasini, in un’area a vocazione turistica a venti chilometri da Palermo? Ed è vero che mentre lei governa la Sicilia si dovrebbe realizzare quello che Totò Cuffaro non è riuscito a fare, e cioè un termovalorizzatore così grande da far impallidire i quattro termovalorizzatori della stessa Giunta Cuffaro?
Chissà che faccia farebbe Crocetta in tv se Giletti gli dovesse porre queste domande! Per la prima volta la sua antimafia verrebbe a contatto, in diretta tv, con la realtà della Sicilia che governa – o che forse s’illude di governare – e con i personaggi e gli affari che gli gravitano attorno.
Invece ci dobbiamo accontentare delle considerazioni iperboliche di Grillo, dei suoi paradossi un po’ sopra il rigo, anche se non privi di verità nascoste, pronunciate in modo anticonformista, quasi a sfidare le ‘vestali’ della mafia e dell’antimafia che oggi somigliano sempre più alla riscrittura della leggenda di Scilla e Cariddi, ormai felicemente ‘sposati’ dopo anni di sguardi, l’una di fronte all’altra, all’ombra dello Stretto.
In fondo, come ebbe a dire un giorno Vendola, il collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria non sarebbe altro che un “ponte tra due mafie”.
Anche Grillo non pensa bene del Ponte sullo Stretto. La prima volta che è venuto in Sicilia da politico – era la vigilia delle elezioni regionali del 2012 – se l’è fatta a nuoto. Per dimostrare che il Ponte non serviva.
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