Assunzioni da riservare a parenti e amici. In un rifornimento o in una società che si occupa di rifiuti in provincia di Agrigento. Una storia che assomiglia a tante altre ma che, in questo caso, ha come protagonista Guido Vasile. Un uomo che nel mondo della spazzatura ci lavora da anni, a quanto pare anche […]
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La storia del giovane benzinaio licenziato dopo quattro giorni: il suo posto serviva al clan di Agrigento
Assunzioni da riservare a parenti e amici. In un rifornimento o in una società che si occupa di rifiuti in provincia di Agrigento. Una storia che assomiglia a tante altre ma che, in questo caso, ha come protagonista Guido Vasile. Un uomo che nel mondo della spazzatura ci lavora da anni, a quanto pare anche come sindacalista. Per i magistrati, però, sarebbe anche uno degli esponenti mafiosi di maggiore peso a Villaseta, piccola frazione di Agrigento. Vasile è uno dei nomi chiave dell’operazione portata a termine ieri dai carabinieri con il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Il 65enne per i magistrati avrebbe adottato un controllo capillare e costante del territorio con l’obiettivo di garantire l’affermazione e la persistenza operativa dell’organizzazione criminale sulle attività economiche presenti a Villaseta e dintorni.
Un capitolo dell’ordinanza di custodia cautelare – che ha portato a 24 arresti e 51 persone indagate – è dedicato alla presunta estorsione nei confronti della società dei rifiuti M.D. (con sede in provincia di Trapani). La ditta che nel 2023 si è aggiudicata il bando per la raccolta e il trasporto dei rifiuti per conto del libero consorzio comunale di Agrigento. Gli inquirenti hanno individuato tra i dipendenti anche cinque persone ritenute vicine a Vasile e all’altro indagato Pietro Capraro, indicato come al vertice della famiglia mafiosa di Villaseta. Secondo gli inquirenti, si sarebbe trattato di posti di lavoro in cambio di protezione, in particolare per i mezzi impegnati nell’esecuzione dell’appalto.
Sempre in tema di lavoro, c’è poi la vicenda che ha riguardato un distributore di carburante DB nella frazione di Villaseta. Anche in questo caso, l’obiettivo sarebbe stato quello di ottenere l’assunzione di un operaio gradito alla locale organizzazione mafiosa al posto di un ragazzo da poco ingaggiato. La chiave di lettura alla vicenda rimanda a una rapina avvenuta il 16 novembre 2023. Il titolare consegnò ai malviventi l’incasso della giornata, circa 400 euro, ma è l’altro operaio – quello giovane e da poco assoldato – a fornire un dettaglio fondamentale: prima della rapina un uomo gli si sarebbe avvicinato chiedendogli cosa ci facesse a Villaseta e invitandolo a tornarsene nel proprio paese, cioè Canicattì.
Grazie alle dichiarazioni e alle riprese delle telecamere, gli investigatori sono riusciti a ricostruire gli attimi prima della rapina e così hanno individuato i presunti autori in Giuseppe Sottile e Nicolò Vasile, figlio di Guido, e in un terzo complice, Gaetano Licata, che avrebbe fatto da autista. Incredibilmente il giorno dopo la rapina – il 17 novembre del 2023 – il giovane operaio si è visto interrompere il proprio rapporto di lavoro con la giustificazione del mancato superamento del periodo di prova, cioè appena quattro giorni compreso quello in cui era avvenuta la rapina. Dietro il licenziamento, secondo le accuse, ci sarebbe stato il rispetto della volontà del clan sull’assunzione di un uomo non autorizzato.
Due assunzioni sospette, riconducibili agli interessi della famiglia mafiosa, sarebbero state anche quelle avvenute nell’ambito dei lavori di riqualificazione di piazza della Concordia, sempre a Villaseta. L’appalto, nel 2022, venne affidato dal Comune di Agrigento alla società F.G.C. Costruzioni che, a sua volta, diede un subappalto a un’altra società – ZA.RA srl – di proprietà del padre del titolare della prima impresa. Stando alla ricostruzione degli inquirenti e all’ordinanza di custodia cautelare, quest’ultimo si sarebbe rivolto a Guido Vasile dopo un furto subito in cantiere. In pochi attimi, il 65enne sarebbe riuscito a risalire all’autore, convincendolo alla restituzione di quanto rubato. Un’azione di recupero che, tuttavia, avrebbe fatto storcere il naso all’indagato Pietro Capraro, che non l’avrebbe ritenuta giustamente ricompensata dall’imprenditore.