«È un bando che rischia di trasformarsi in un flop e di compromettere la lunga battaglia per il riutilizzo sociale dei beni sottratti alle mafie». È questo il grido d’allarme di Arci Sicilia e de I siciliani giovani che riguarda il primo bando pubblicato, lo scorso 31 luglio, dall’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc) per individuare enti, associazioni e cooperative sociali a cui assegnare, a titolo gratuito, immobili confiscati in via definitiva da destinare a finalità sociali. Soprattutto terreni, ma anche garage, box, magazzini, negozi, botteghe, appartamenti in condominio, abitazioni e pure ville.
Dei 1.400 beni – che, in realtà, sono particelle catastali – in tutta Italia, 652 sono in Sicilia. In particolare, 273 sono nel Palermitano, 149 disseminati nella provincia di Messina, 93 nel Catanese, 61 nell’Agrigentino, 57 in provincia di Trapani, 16 in provincia di Siracusa e 3 nell’Ennese. «Il quadro che emerge dalle nostre verifiche – spiega a MeridioNews Matteo Iannitti – è desolante da più punti di vista».
«Condizioni strutturali pessime, abusi edilizi insanabili, immobili occupati da persone riconducibili a chi ha subito la confisca, terreni difficilmente raggiungibili e inutilizzabili. Ma al danno si aggiunge la beffa – lamenta – gli oneri economici per ristrutturazioni, messa in sicurezza, adeguamento dei locali sono tutti a carico dei vincitori del bando». Che, nella maggioranza dei casi, sono associazioni ed enti no profit sprovvisti delle risorse necessarie a sostenere i costi e, in questo momento, anche tra le realtà più duramente colpite dalle ripercussioni economiche della pandemia. Le uniche risorse stanziate sono di un milione di euro per mille lotti. «Somme insufficienti che potranno coprire al massimo un quinto del progetto», fa notare Iannitti che, con diverse associazioni, da fine agosto lavora al bando.
«Li abbiamo mappati e ci siamo resi conto che per il nostro tipo di progettualità due erano i luoghi più interessanti», continua. Individuati i beni, il bando prevede come requisito preliminare di prendere visione delle condizioni insieme a un collaboratore dell’Agenzia che, in molti casi, può anche essere l’ex amministratore giudiziario. «Dopo le attese per essere messi in contatto con questi coadiutori – sottolinea l’attivista – da molti ci siamo sentiti rispondere che non hanno idea di dove sia il bene, che non ci sono mai stati, che risultano occupati e che non capiscano come sia possibile che siano stati messi a bando». Una situazione che rischia di limitare la partecipazione e di trasformare una opportunità di riappropriazione dei beni tolti alle mafie in un fallimento. Le associazioni chiedono di prorogare il bando (che avrebbe scadenza fissata al 31 ottobre) e di rimpinguare il fondo per le ristrutturazioni, magari attingendo al Fondo giustizia.
Nello specifico, le realtà etnee sarebbero interessate a un bene che si trova a Palagonia e a uno che ricade nel territorio di Gravina. Nel primo caso si tratta di un casolare con attorno cinque ettari di agrumeto confiscato nell’ambito del maxi-processo Iblis che ha messo sullo stesso piano mafia, politica e mondo imprenditoriale. A Gravina di Catania si tratta, invece, si un insieme di villette che erano il quartier generale del clan Zuccaro. In questo caso, la confisca definitiva è arrivata a marzo del 2013 a Maurizio Zuccaro, il sanguinario boss ergastolano che è anche il cognato di Vincenzo Santapaola, il nipote del boss Nitto. Nel marzo del 2019 l’inchiesta Zeta ha svelato come Zuccaro continuasse a comandare il clan dal carcere. In quella occasione, è stato arrestato anche suo figlio Filippo Zuccaro, cantante neomelodico meglio conosciuto come Andrea Zeta. Adesso, il compound che fu degli Zuccaro è tra i beni messi a bando. «Quegli immobili, però – denuncia Iannitti – risulterebbero essere occupati, alcuni appartamenti addirittura anche da membri della famiglia. Quando abbiamo chiesto di effettuare il sopralluogo, il delegato dell’Agenzia ci ha informato del fatto che, qualora fosse stato possibile – conclude – sarebbe dovuto avvenire con la scorta dei carabinieri».
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