Il libro, edito da Maimone nel 2015, è stato presentato la scorsa settimana in occasione del quarantennale della donazione dell'edificio da parte del Comune all'università. «Uno dei luoghi più permeabili di Catania», dice a MeridioNews il curatore e coautore Francesco Mannino
Benedettini, in un volume la storia del monastero «Dobbiamo ricordare che è bene della collettività»
Breve storia del Monastero dei Benedettini di Catania, edito da Maimone nel 2015 e presentato la scorsa settimana in occasione del quarantesimo anniversario della donazione dell’ex monastero da parte del Comune all’università etnea, è un volume che condensa una parte della storia dell’edificio attraverso i saggi vergati da accademici e studiosi provenienti dal dipartimento di Scienze umanistiche di Catania e tutti strettamente legati al luogo descritto nelle 115 pagine del libro. A parlarcene è Francesco Mannino, presidente dell’associazione Officine Culturali, qui in veste di curatore dell’opera e autore di due contributi.
«L’idea di una pubblicazione sulla storia del monastero – spiega Mannino a MeridioNews – c’era già da qualche decennio, e in effetti ne sono uscite alcune, anche di recente, su pezzi significativi della sua storia. Giuseppe Giarrizzo aveva intenzione di realizzare una grande storia del monastero in due volumi, ma purtroppo questo progetto non è mai stato compiuto. Questa invece – prosegue il curatore – è una breve storia, una raccolta di saggi scritti da ricercatori, esperti di vari settori, storici dell’arte, storici della musica, umanisti».
«Noi diciamo, un po’ scherzando, che questa breve storia abbraccia 5mila anni – ride Mannino – ma in effetti è così, perché inizia con riferimenti al sito archeologico della collina di Montevergine sul quale il monastero sarebbe sorto molto dopo, dove era ampiamente presente la città romana ma anche parte della città greca e, da quanto risulta da uno degli scavi archeologici condotti in quello che adesso è il cortile sud del monastero, era anche una sepoltura preistorica risalente al 3000 avanti Cristo. Per poi arrivare – continua – alla vera e propria storia dell’edificio dal 1558 a oggi, sulla quale si concentra la parte più corposa dei contributi, che è poi la storia dei monaci benedettini con le loro vicende alterne, con il loro potere, il loro senso della ricerca, il loro museo, la loro chiesa, il loro organo di Donato del Piano, con la loro biblioteca», per poi proseguire con un excursus che tocca altre tappe fondamentali della storia del monastero, dall’estromissione dei benedettini nel 1886, con l’acquisizione dell’edificio da parte dello stato, attraverso un secolo di usi civili, dalle scuole al passaggio all’università nel 1977.
«La presentazione in quest’anno non è casuale: nel 2017 – ricorda il curatore del volume – ricorre il quarantesimo anniversario della donazione del monastero all’università da parte del Comune. Abbiamo voluto ricordare così quarant’anni di vita universitaria: un segmento di tempo apparentemente breve ma così significativo, perché sono stati gli anni del grande cantiere curato da Giancarlo De Carlo, della presenza della facoltà di Lettere e Lingue, oltre che un periodo intensissimo e significativo di riuso di questo bene che, ricordiamocelo sempre, è un bene comune, appartiene alla collettività. L’importanza non tanto del volume ma del soggetto di cui si occupa è questo: bisogna sempre rimarcare dichiara Mannino – anche attraverso gli studi e le ricerche, che questo grande contenitore di significato è un bene della collettività, pubblico e accessibile perché è aperto quasi tutti i giorni della settimana: sottolinea e sostanzia la pubblicazione che ho avuto il grande onore di curare».
L’esperienza da curatore è la prima per Francesco Mannino, che ha però alle spalle un lungo rapporto con il monastero, iniziato da studente negli anni ’90 e continuato fino a oggi, con il dottorato in Storia del territorio e soprattutto con la gestione di Officine Culturali: «Per questo volume – dice – ho coordinato il lavoro di raccolta dei contributi e ne ho curati due personalmente, quello sugli usi civili del monastero dopo l’uscita di scena dei benedettini e quello sulla presenza dell’università dentro l’edificio, due fasi recenti coerenti con i miei studi di storia contemporanea. Ma il mio primo incontro con il monastero – ricorda l’autore – risale a molti anni fa: sono entrato come studente nel ’94, il cantiere era ancora molto visibile e gli scavi ancora in corso, la struttura appariva come una serie di lamiere ondulate, non esisteva ovviamente la radio, c’era una scala che saliva fino al secondo piano al coro di notte, anch’esso in ristrutturazione. Anche il giardino dei novizi era un cantiere. Le lezioni erano pochissime, la maggior parte si svolgevano in piazza Università. Ho studiato lì fino al 2000, il cantiere andava scomparendo».
Mannino ha poi completato gli studi a Roma e quando è tornato a Catania, nel 2006, ha trovato un monastero completamente diverso, perché i lavori erano stati per lo più completati. Ma soprattutto ha ritrovato, a suo dire, un rinnovato interesse da parte degli studenti nei confronti di questo bene comune, con tante spinte dai collettivi studenteschi e dalle associazioni, nonché da quel gruppo che è diventato poi l’associazione Officine Culturali. «Questo mi ha molto colpito – afferma Mannino – e non a caso ci stiamo lavorando su con Officine ed è il nostro terreno di sperimentazione, l’intenzione di rivolgersi non solo agli studenti, ma anche al resto delle persone che vivono nel territorio. Non è un caso che la presentazione del libro sia avvenuta nel giardino della biblioteca, uno spazio importante ed emblematico, un giardino pubblico del centro storico di Catania ma sconosciuto a molti, anche universitari. Un luogo che vorrei facesse da cerniera tra l’università, il quartiere Antico Corso e piazza Dante. Il monastero è uno dei luoghi più permeabili di Catania, chiunque può entrare liberamente e girare, osservare ovunque sia possibile e fruirne: questa porosità – conclude – è un punto di forza sul quale vogliamo lavorare e che il libro in qualche modo ha voluto sostanziare attraverso la lunga storia di ciò che esso rappresenta».