Quasi dieci anni per approvarlo, più di venti per revisionarlo. È il piano regolatore generale che dovrebbe occuparsi di problemi e vocazioni urbanistiche della cittadina. Scomparso dal dibattito politico, si spera di vederlo riapparire presto in Consiglio comunale
Belpasso, revisione del Prg: a che punto siamo? Dall’illusione del 2015 a oggi, rimane l’urgenza
Redatto nel corso del decennio 1985/1993 e
approvato il 23 dicembre del 1993 con decreto assessoriale della Regione Siciliana, il Piano Regolatore Generale, dopo avere animato il dibattito delle campagne elettorali precedenti l’elezione degli ultimi sindaci, ancora oggi conserva intatta la sua attualità. E non potrebbe essere altrimenti considerati i dettami della legge regionale n° 38 del 5 novembre del 1993 che all’articolo 1 prevede la decadenza dei vincoli – sia quelli di inedificabilità che quelli preordinati all’espropriazione – qualora «entro dieci anni (successivamente ridotti a cinque, ndr) dalla data di approvazione dei predetti strumenti urbanistici non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati o autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati».
Una
monotona ripetizione che si pensò potesse avere termine con l’elezione a sindaco di Carlo Caputo, leader di un manipolo di giovani cui il destino sembrava avesse affidato il compito di voltare pagina e farla definitivamente finita con la cosiddetta “Prima repubblica“. Fra i primi atti del giovane sindaco l’annullamento del bando del commissario regionale Angelo Sajeva – al vertice del Comune dopo le dimissioni del sindaco Papale, candidatosi alle Regionali – che aveva visto il noto urbanista Leonardo Urbani piazzarsi al primo posto della graduatoria dei tecnici disponibili a rivedere il Prg; quindi l’affidamento del compito ai tecnici dell’ufficio tecnico comunale, prima dell’annuncio, nel 2015, dell’avvio della tanto sospirata revisione, come previsto da un’altra Legge regionale del 1991.
Nell’occasione, Caputo non mancò di sottolineare che la revisione, sebbene avversata da una minoranza costituita da
affaristi (che sarebbero usciti danneggiati dall’impostazione che si intendeva dare al Piano) e da ciarlatani (che sarebbero stati spiazzati dalla struttura che lo avrebbe sostenuto), si sarebbe conclusa con un Prg che avrebbe badato alla qualità più che alla quantità. Superfluo dire che la notizia venne accolta con un certo fervore da parte della stragrande maggioranza dei belpassesi: non solo da architetti, ingegneri, geometri, costruttori e proprietari di terreni a vario titolo interessati, ma dalla comunità in senso lato, rappresentata da tutti quei soggetti – in forma singola o organizzata nelle varie associazioni e categorie – interessati all’andamento di quel processo che poteva influenzare, positivamente o negativamente, l’interesse personale e collettivo. E poi «il nuovo Piano regolatore generale – diceva Caputo – dovrà essere un documento partecipato e, in quanto tale, non nascerà nelle chiuse stanze dei tecnici, ma scaturirà anche dalla partecipazione e dal contributo dei cittadini».
Cosa si sarebbe potuto dire di un Piano che, a quanto si leggeva nelle
Direttive generali, si prefiggeva la Tutela e la valorizzazione del patrimonio edilizio esistente (specie storico); la Tutela del tessuto agricolo; la Riqualificazione dei villaggi periurbani; il Potenziamento della mobilità? Poco o nulla, ovviamente. Si trattava di obiettivi assolutamente normali e per questo ineludibili, come normale appariva anche l’attenzione verso i temi del verde, delle infrastrutture, dei servizi e dei parcheggi. Lodevole era apparso anche l’impegno a mantenere la struttura a scacchiera, nonostante non fosse chiaro se essa sarebbe stata confinata all’interno di un contesto ristretto – quale testimonianza di ordine puro di rigore e riconoscibilità – o se, invece, sarebbe stata estesa il più possibile fino alle zone di nuova espansione.
Certo, il rischio che quanto scritto rimanesse solo a livello di
intendimenti – deludendo così le grandi attese a essa legate – c’era, ma era un rischio che si doveva correre. A destare qualche preoccupazione era la consapevolezza che la concretizzazione delle intenzioni non poteva prescindere dal superamento delle discutibili situazioni degli anni precedenti e questo richiedesse una non indifferente capacità di investimento. Un chiara esemplificazione al riguardo la offrivano innanzitutto l’edificazione selvaggia e incontrollata e la mancata attuazione delle zone artigianale e commerciale (al cui mantenimento in pieno centro urbano era da imputare l’ulteriore amplificazione del problema dei parcheggi e della viabilità). Ancora un esempio veniva poi dall’ ingente patrimonio edilizio costituito da unità immobiliari mai ultimate e poste su sopraelevazioni non sempre ossequiose delle normative in vigore e di quello costituito da immobili pressoché fatiscenti o in pessime condizioni di mantenimento. Dalla capacità di investimento sarebbero potute derivare soluzioni utili a rilanciare l’immagine di un paese che non faceva mistero delle proprie velleità turistiche e di un’amministrazione attenta al miglioramento delle condizioni paesaggistiche.
Il
fervore con cui vennero accolti i primi passi dell’iter per la revisione del Prg imponeva di rimanere con i piedi per terra. Si spiega così l’invito allora rivolto da chi scrive a evitare qualsiasi trionfalismo, rimandandolo semmai alla fine del processo e in presenza di esiti davvero rivoluzionari. Difficilmente, per ricavare spazi da destinare alla fruizione pubblica, si sarebbe arrivati alla demolizione di fabbricati o quartieri abusivi o, per esaltare la funzione del paesaggio, di quei capannoni sparsi lungo la strada che da Piano Tavola porta a Belpasso che da eventuali accertamenti fossero risultati utilizzati per una destinazione non conforme a quella per cui erano stati autorizzati.
Da allora è passato qualche anno, qualcosa è cambiata così come qualche protagonista: Carlo Caputo, rinunciando alla ricandidatura, ha lasciato la poltrona di sindaco e al suo posto dal 2018 siede
Daniele Motta. Poiché la revisione del Prg sembra essere sparita dai radar, appare più che legittimo che qualcuno cominci a interrogarsi e a chiedersi come sia andata a finire. La qual cosa spinge a ritenere più che mai opportuno un passaggio in tempi brevi in Consiglio comunale, al quale – in quanto organo che esprime la sovranità popolare – spetta di accertare il cosiddetto Stato dell’Arte. Come si sia sviluppato l’iter avviato nel 2015, quali siano stati i fattori che lo hanno agevolato o condizionato, quali sono le novità nel frattempo emerse sono interrogativi cui va data risposta. Senza, ovviamente, trascurare le prospettive, i tempi ed eventuali coinvolgimenti, se ci sono, nella Legge regionale n.19 del 17 agosto del 2020 che detta norme per il governo del Territorio. Ad avvantaggiarsi, qualora ciò avvenisse, sarebbe non solo la qualità dell’attività amministrativa, ma anche il rapporto amministratori-amministrati al quale si deve, in buona parte, l’attuale disaffezione verso la politica.