Costume e società

Barbie e noi, divisi tra realtà e finzione social. L’esperto: «Dal disagio al marketing, prevale il sentirsi parte di qualcosa»

«Siamo davvero così felici? Siamo pronti a guardare la realtà?». Queste (e molte altre) sono le domande che il film Barbie – al di là delle rassicuranti e frivole ambientazioni rosa shocking – pone a spettatrici e spettatori. Quesiti sull’identità, a partire dal genere, e sulle relazioni, su cui si interrogano anche gli studiosi, accorsi al cinema per guardare quello che è il fenomeno dell’estate. MeridioNews ne ha discusso con Francesco Pira, professore associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’università di Messina. «Non è un semplice omaggio alla bambola. Siamo di fronte a stereotipi che creano tifoserie», spiega il docente.

L’impressione è quella di essere trasportati in un’atmosfera hollywoodiana in compagnia di Barbie e Ken: «Le persone sono felici, appagate, trascorrono il loro tempo in spiaggia, partecipano ai party organizzati in casa… – analizza Pira – Ma c’è qualcosa che a un certo punto può creare disagio». Ed è qui che entra in gioco l’esempio più lampante del mondo in cui viviamo ogni giorno, diviso a metà tra realtà e immaginazione, tra la presenza vera e quella ingannevole nel mondo dei social: «Esplorare il reale mentre nella vita si è vissuto il mondo non reale è una contraddizione che fa parte del nostro quotidiano. Qui – prosegue l’esperto – dobbiamo sempre piacere agli altri circondandoci per esempio di like ai post». Facebook o Instagram come la perfetta Barbieland, insomma.

Ma non è questo l’unico aspetto del film diretto da Greta Gerwig e Noah Baumbach che, attraverso i volti di Margot Robbie (Barbie) e Ryan Gosling (Ken), evidenziano difficoltà come «il sessismo dilagante, il machismo, il patriarcato, l’esibizione della virilità e la conseguente superiorità dell’uomo». Un dislivello tra generi che il film cita apertamente, ma anche attraverso immagini e personaggi: dalla Barbie – metafora della donna – fuori produzione perché incinta alla presenza di sole figure maschili ai vertici della Mattel. Ma, come in un gioco di specchi, sullo schermo si assiste anche a un ribaltamento in cui è la donna a dominare la scena. Per esempio nel momento in cui Barbie scarica Ken – friendzona, direbbero i giovanissimi, seppur con la dolcezza della sua perfezione – o, ancora, quando quest’ultimo fa di tutto per essere guardato da lei.

«Sul web sono successe delle cose incredibili con foto e post ritraenti personaggi famosi come la Barbie-Orietta Berti – fa notare Pira – Sono stati creati numerosi meme, tra cui Barbie casi umani». Un riferimento alla presunta sfortuna amorosa tipica dei nostri tempi. «In generale – continua il professore – la Barbiemania ha risvegliato l’infanzia, ma ha anche avuto un impatto sul marketing: su TikTok, in molti ora si vestono come Barbie». Un po’ lo stesso dualismo che sottende al film, con una Barbie stereotipo nata per ispirare le bambine a diventare ciò che desideravano, ma finita per essere un simbolo del consumismo. Ciò che conta, però, per l’esperto, è il fattore socioculturale che sta dietro il film: «Non è facile far passare dei messaggi in una società divisa, molto fragile, piena di egoismi e individualismi – conclude Pira – Ma sentirsi parte di un qualcosa con un valore riconosciuto può aiutare».

Chiara Gangemi

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