Nei guai Eusebio e Maurizio Carastro, zio e nipote, amministratori dell'azienda Etna Porte, con sede a Motta Sant'Anastasia e dichiarata fallita nel 2018. Coinvolte altre due persone tra cui un consulente fiscale
Bancarotta fraudolenta, sequestro e quattro indagati Nel mirino finite società che operano nel settore porte
La guardia di finanza di Catania ha sequestrato beni per oltre 240mila euro agli imprenditori Eusebio e Maurizio Carastro, rispettivamente zio e nipote, amministratori della Etna Porte società operante nel settore della fabbricazione di porte e finestre dichiarata fallita nel 2018. I due sono indagati per bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale insieme con Salvatore Giuseppe Alsero, amministratore della City Door e al consulente fiscale Giuseppe Mannino. Il giudice ha disposto il sequestro preventivo della somma di denaro corrispondente al valore delle liquidità e beni distratti ovvero oggetto di pagamento preferenziale, a valere sui conti correnti bancari intestati o comunque riconducibili agli amministratori di diritto e di fatto della Etna Porte.
Il gip ha inoltre disposto il sequestro delle quote e del compendio aziendale della società City Door. Secondo quanto accertato nell’attuale fase del procedimento in cui non si è pienamente realizzato il contraddittorio con le parti, i due indagati avrebbero «posto in essere una serie di condotte dolose volte a depauperare il patrimonio aziendale, causando un’esposizione debitoria di circa 675mila euro». Secondo le accuse, «per procurare a sé un ingiusto profitto con conseguente danno per i creditori ed ostacolare il corretto svolgimento della procedura fallimentare, gli indagati avrebbero distratto liquidità e asset aziendali della società per un valore di oltre 170mila euro a favore di una nuova società dal medesimo oggetto sociale che, seppur formalmente amministrata da Asero, in realtà era stata costituita e gestita dai medesimi amministratori della società fallita per proseguire l’attività commerciale senza far fronte alle passività maturate». Gli indagati inoltre «avrebbero effettuato in prossimità della dichiarazione di fallimento il pagamento preferenziale a un istituto di credito di 70mila euro per estinguere un debito privilegiato e le relative ipoteche volontarie poste a garanzia».